martedì 24 marzo 2009

Basic life-support

Un mio carissimo amico direbbe che un titolo inglese ci sta sempre bene, perchè altrimenti non fai tendenza e non sei parte del mondo.

Per fortuna, o forse grazie all' insistenza del mio vecchio capo universitario che propendeva a non usare parole di origine inglese in frasi italiane, non ne sono avvezzo.

Oggi, invece, lo faccio perchè questo titolo è la traduzione della sigla BLS, il corso da volontario del soccorso che sto frequentando da inizio marzo.

Mi sento come ritornato ad un anno fa: non era più il lavoro, non erano più le attività ad esse collegate che mi attraevano, ma ciò che più mi interessava e mi piaceva fare. Un anno fa vivevo solo per la salsa cubana. Credo che sarei riuscito a fare maratone ed overdosi di ballo senza sentire la necessità di fermarmi o, peggio ancora, stufarmi.
Purtroppo, causa il trasferimento in altra città, ho perso l'occasione di continuare a ballare; sembrerà strano, ma le figure ed i loro nomi che insegnano in una città sono diverse dalle altre e questo provoca un "problema di comunicazione ed apprendimento". Se in più si aggiunge che alcune scuole richiedono la partecipazione dell'intera coppia alle lezioni, e non del singolo, la voglia di ballare passa velocemente! Ma queste sono altre questioni.

Dicevo, in questi giorni vivo solo per ciò che non riguarda il lavoro, cosa che sto cominciando a sentire pesantissimo. Sono veramente svogliatissimo e questo mi preoccupa tanto. In questo periodo, non aspetto altro che arrivi il lunedì o il mercoledì per andare al corso di primo soccorso, imparare come assistere un malato o un paziente, osservare ed eseguire manovre di vitale importanza per garantire le possibilità di sopravvivenza dell'assistito.

Infatti, ci hanno spiegato che non è nostro compito salvare le vite umane: a questo ci pensano i medici; non siamo noi a doverci buttare tra le fiamme di un incendio: a questo ci pensano i pompieri; non siamo noi a fermare un assassino: ci penserà la polizia. Il nostro compito è solo assistere chi è in stato di necessità vitale e tentare di mantenere le funzioni vitali in attività.

Remiamo contro una cabala, una lotteria, una statistica. Solo questo!

E' bene che ci abbiano spiegato che bisogna avere sangue freddo e che non dobbiamo sentirci troppo coinvolti emozionalmente, ma soprattutto che abbiamo sempre a che fare con PERSONE che vanno trattate con il massimo del rispetto e dell'accoglienza solidale.

Conoscere le nozioni di base del primo soccorso mi ha sempre attratto, per cultura generale; principalmente, prendo quest' occasione come una sfida contro me stesso, per sondare i miei limiti e le mie paure ma anche per scoprire quanto coraggio e forza d'animo posso avere dentro di me. Non che non lo sappia già, ma riossigenarlo è sempre meglio che anestetizzarlo.

Temo solo di diventare un pò troppo insensibile e cinico; non vorrei che l'esperienza che mi accingo a vivere mi deturpi caratterialmente più di quanto non l' abbia già fatto negli ultimi due anni.
Però, ho bisogno di levare quella "fetta di prosciutto" che ti mettono sugli occhi quando sei giovane, facendoti credere che tutto è bello e felice e che le speranze ed i desideri possono realizzarsi.
Sono tutte balle!

venerdì 13 marzo 2009

La cura

Ciò che sto per scrivere è basato su una lezione (quindi, da un approccio molto razionale) frequentata mercoledì al corso per i volontari soccorritori.
Alcuni concetti e modi di approcciare la persona da soccorrere, che sono stati detti quella sera, si sovrapponevano alle mie osservazioni e riflessioni degli ultimi due anni.
Non nego di esser uscito, alla fine della lezione, un pò toccato.

Queste parole erano RELAZIONE, PERCEZIONE, SPERANZA, AFFIDARSI, PRENDERSI CURA, CONTENIMENTO EMOTIVO, CAPIRE.

Tutte parole che hanno avuto a che fare con la mia distruzione interiore degli ultimi due anni.

RELAZIONE: mi aveva detto che questa parola, scritta in una lettera che lei considerava bellissima, era stata usata in maniera impropria e sbagliata perchè la nostra non poteva (o doveva?) definirsi una relazione.

PERCEZIONE: uno dei verbi maggiormente usati da me per descrivere la sua presenza continua nella mia mente, solo che le percezioni di lei si concretizzavano veramente, essendo accadute diverse volte.

SPERANZA: ciò in cui credevo molto; qualcosa a cui lei non dava credito a parole, ma che alimentava pesantemente con i fatti, con i gesti, con le azioni (fisiche).

AFFIDARSI: si rivolgeva a me ogni qual volta si trovava in profonda difficoltà, come è stato il giorno in cui c'è stata la svolta nella nostra amicizia, quel giorno in cui io la vidi fortemente scossa nel corridoio del piano dove lavoravamo; oppure, di ritorno dal lago di Garda, fermandomi a Verona per far visita alle mie sorelle, lei mi cercava disperatamente scrivendo "Dove sei ho una crisona" perchè aveva visto una coppia di amici, sposati, con il loro piccolo; infine, nel giorno del mio compleanno, quando una settimana prima mi aveva detto che la nostra "cosa" doveva finire e invece si ripresentava li da me per raccontarmi che il suo ex, uscito con lei ed il loro piccolo, ad un bar attaccava bottone con la cameriera.

PRENDERSI CURA: lavata, coccolata, protetta e guardata durante il suo sonno.

CONTENIMENTO EMOTIVO: un uomo non deve piangere, soleva dirmi perchè diverse volte mi aveva visto piangere in sua presenza: succede perchè sono molto empatico e mi immedesimo nelle difficoltà altrui e quando vengono manifestati i sentimenti umani.

CAPIRE: un intercalare da me pronunciato eccessivamente durante il nostro primo incontro, troppo preso dall'emozione e dalla foga di distruggere quel muro che circonda la mia interiorità. Prontamente, mi fece notare che dire "capisci?" ad una persona pesasse molto e sembrasse quasi di trattarla come una deficiente.


Un soccorritore deve saper controllare le sue emozioni, non esprimerle, contenersi.
Come ha fatto notare l'insegnante (una psicologa di professione) bisogna immedesimarsi per prendersi cura del paziente, ma farlo con un piede dentro ed uno fuori.
Ritorna così un' altra mia osservazione, che aveva suscitato la curiosità di "qualcuno" che non vedo da molto tempo: il distacco emotivo nelle relazioni di coppia.
La psicologa, infatti, aggiungendo: "come in qualsiasi relazione nella vita di tutti i giorni".

Allora, ci avevo azzeccato.

Mi disturba pensare che bisogna nascondere le proprie emozioni nei rapporti sentimentali, altrimenti che c'entra l'aggettivo "sentimentali"?
Comprendo, in una situazione difficile come in un soccorso, che farsi prendere dalle emozioni comporti un peggioramento della qualità d'intervento ... ma nella vita di tutti i giorni no, perchè per come sono fatto io, vivo e sento moltissimo le mie emozioni, sono il mio modo principale e naturale di comunicare non-verbalmente.

lunedì 2 marzo 2009

Incapacità


Poco più di una settimana fà, ho scattato questa fotografia nei giardini de Tuileries, a Parigi.
L'ho fatto perchè mi suscitava tanta tenerezza, attaccamento l'uno verso l'altra, protezione, anche bisogno.
Dopo averla scattata, ho pensato che avrei voluto essere io l'uomo seduto su quella panca.
Fare di necessità virtù, mi verrebbe da dire. Difficile da applicare questo proverbio, su di me.
La paura e la timidezza mi bloccano, mi inibiscono.
Sono settimane che osservo una donna, al lavoro. Non lavoriamo nello stesso ambito, ma casualmente ci ritroviamo spesso a pranzare su per giù alla stessa ora.
E quando questo succede, mi viene difficile distogliere lo sguardo da lei: dai che gli dai, i miei occhi non fanno altro che cercarla. E capita che i nostri sguardi si incrocino e che non riesco a mantenere fisso lo sguardo, come dire "mi ha scoperto, ora faccio finta che non la stessi guardando" e mi volto da altre parti. Davvero ... come da infantile!
Lei sa, a volte fa finta di osservare altro ma con la coda dell'occhio "mi scruta" ... presente anche quando perde lo sguardo nel vuoto ... ma in realtà vede benissimo.
Non ce la faccio ad andare da lei e parlarle. Non è neanche possibile pranzare uno vicino all'altra perchè siamo "ghettizzati", non c'è intreazione tra persone appartenenti a varie sezioni aziendali.
Spero sempre che capiti l'occasione fortuita di incontrarci chissà dove per l'edificio, da soli, e così dare avvio ad una conversazione (sicuramente banale, perchè mi farò prendere dall'ansia). E' successo giusto una volta che ci siamo salutati ma non potevamo parlare.
C'è stata l' occasione, una volta, di poterla conoscere ad una festa. Eravamo distanti neanche mezzo metro l'uno dall'altra e anche piuttosto soli ... eppure non ho trovato la forza per sbloccarmi. So rendermi conto di queste opportunità, eppure mi faccio prendere da strani sensi di inadeguatezza e lascio perdere tutto.
E' qualcosa più forte di me, invincibile quasi.
E' la mia peculiarità, è qualcosa che mi porto dietro da sempre e non so individuare la causa precisa. Questa "inerzia invisibile" posso ricondurla ad episodi di insicurezza che ho vissuto nel mio passato remoto e recente, ma non ad un fatto ben preciso che ne è la causa primaria. Forse, sarà una sommatoria di piccoli, innumerevoli vissuti. E' successo anche all'inizio della mia unica relazione finora avuta: la paura di dare inizio, di propormi.
A volte soffro davvero tanto nell'immaginarmi su quella panca con una donna da amare.
Il desiderio è talmente forte che devo umiliarmi per non persarci più.
Niente di più sbagliato! ed il brutto è che ne sono pienamente consapevole!
L'ultima volta è successo ieri sera, ho trovato una foto particolare, una foto in cui avrei voluto essere io il soggetto, assieme alla donna verso cui provo molto.
Una situazione che mi ha spedito indietro di due anni ... nel salotto della casa dove abitavo ...
Ho detto tra me e me: "Dio quanto mi manca vivere questo momento! Quanto lo desidero!".
Un desiderio fortissimo ... che evidentemente fortissimo non è, se qualcosa di più potente riesce a soffocarlo.
Questo non fa altro che aumentare il mio senso di insoddisfazione, alimentato dai sogni che mi creo attorno a cosa vorrei vivere con lei ... invece di viverli realmente.
Perchè?