Non credo che riuscirò a metter fine allo stato d'animo di questi ultimi 6 mesi.
Non riesco a mettere in pratica la soluzione più semplice che possa esistere al mondo.
Parlare.
Non trovo l'interloculore più giusto ed adatto.
Sto lasciando sfuggire tutto e tutti, sto vivendo lontano da qualsiasi attività perchè è l'unico modo per non sapere nulla su ciò che fanno gli altri. Il vecchio detto occhio non vede, cuore non duole rende benissimo l'idea.
Se la mia vita e quella degli altri prima viaggiavano su binari paralleli, da un pò di tempo a questa parte stanno divergendo spropositatamente e con apparente mancanza di soluzione di riavvicinamento.
Se l'estate è il periodo in cui la stragrande maggioranza delle persone esce e si svaga, io rimango serrato in casa e penso solamente a quanto sto vivendo. Gli altri si divertono, io no.
Se qualcuno tenta di chiedermi il perchè del mio stato d'animo, io glisso barbinamente.
Se gli altri cercano di stare insieme, io cerco la totale solitudine ed il distacco dal mondo.
Distacco.
Disagio.
Nella vita privata; nella vita sociale; sul lavoro; dovunque.
Sono queste le parole che mi attanagliano da 6 mesi ad oggi e non le levo via dalla mia pelle.
Basterebbe un niente, lo so benissimo, ma è proprio quel niente che non si materializza e crea un circolo vizioso.
E' quel niente che farebbe cambiare tutto e che distruggerebbe ogni malignità in un sol colpo.
Credo sia arrivato il momento di premere il tasto RESET e cambiare ancora una volta.
Senza risolvere la condizione attuale, cioè percependo sempre sofferenza.
Senza fine.
venerdì 22 luglio 2011
giovedì 24 marzo 2011
Cave canem, cave vitam
22/03/2011, 18:26
Da pochi minuti, alle 18:16, ho ricevuto la chiamata di mamma dicendo che ti avevano addormentato e che, quindi, a breve la tua vita si sarebbe conclusa.
Lontano da me. Io, lontano da te.
Avrei voluto esser li con te, in questo momento, per rendere onore alla tua incommensurata fedeltà, nonostante siano passati da pochissimo 10 anni ... nonostante il solo 25% della tua vita trascorsa insieme a me.
Mi fa strano pensare che, dopo tutti gli sforzi fatti perchè tu sopravvivessi all’abbandono ed alla malattia, quando eri appena un cucciolo di due mesi, l’orribile malattia ti abbia portato via senza farsi sentire, nel giro di pochi giorni.
Mentre tu, addormentato, stai per ricevere l’iniezione letale, io qui, sulla mia poltrona, penso a te, piango e faccio l’unica cosa che da tre anni a questa parte mi procura un pò di sollievo: scrivere.
Scrivo di te, adesso.
Sarà per senso di colpa, perchè magari non sono stato sempre un padrone fedele, perchè ti coccolavo per obbligo quando cercavi insistentemente le carezze piuttosto che per piacere, o perchè ultimamente interessato al nuovo “giocattolo” Micky piuttosto che a te, mostrandoti geloso e seccato.
Eppure, nonostante ciò, le tue feste si sprecavano: guaiti, salti altissimi, corse, pianti per decine di minuti ogni volta che mi vedevi ritornare a casa dopo mesi di lontananza; ad ogni mio spostamento in casa, tu eri sempre la mia ombra. Strano essere, l’uomo, strano essere, io: lezioni di infedeltà, di mancanze e di opportunità perse ne ho seguite a iosa nella mia vita ma non ho imparato a sufficienza la lezione, quella più importante: amare veramente ed incondizionatamente, come hai fatto tu, per sempre.
Mi è capitato una sola volta nella vita con una persona. Finita malissimo, ho reagito altrettanto malissimo.
L’ho fatto con te, appena trovatoti: pesavi un’etto forse, senza pelo, completamente solo e perso. Franco ti trovò sotto il suo dipartimento in università e ti portò nel sottoscala della palazzina maschile del Matrangola, nella speranza che un’anima buona ti trovasse e si prendesse cura di te. Per puro caso, ti trovai io ... o tu trovasti me. Da quel momento, ti sei affidato completamente a me, facendoti curare come meglio potevo, con tutti gli sforzi ed i sacrifici che potevo permettermi.
Nessuno scommetteva sulla tua sopravvivenza, nessuno. Tutti ti allontanavano perchè eri rognoso.
Fu la tua vittoria, la nostra vittoria più importante. Il pelo ricrebbe folto, lucido e liscio. Bellissimo. Da allora, gli altri cominciarono a guardarti e a considerarti, prendendosi cura di te, cibandoti a mia insaputa durante la notte e tu, per accettazione, cominciasti a dormire sul pianerottolo del terzo piano dove io vivevo, creandomi problemi con il portiere un giorno si e l’altro pure!
Divenisti anche la mascotte della squadra di calcetto dell’appartamento, ricordi? Tutti ti cercavano! Ti chiamavano Rex.
I nostri giochi erano semplici: pigne e mollette, ciò che il cortile del Matrangola ci offriva!!! Ma a te bastavano, ed anche a me. Il tuo richiamo erano gli schiocchi delle mie dita, cosa che hai mantenuto per tutta la vita, anche l’ultima volta che ci siamo visti a Natale, con i nipotini e tutta la famiglia che si divertiva e rideva per questo strano modo di richiamarti in modo distintivo. Tu, al sentire gli schiocchi, partivi di corsa verso di me, scodinzolando. Sempre.
Ti portai a casa nostra un fine settimana. Impossibile dimenticare il viaggio dallo studentato fino all’università, con il passaggio datoci da Silvio, e da qui in autobus fino a casa, con te nel cartone di risme di carta, appollaiato su un panno mentre smangiucchiavi l’involucro di cartone fino a ingoiarlo e rimetterlo tutto!!!
Dopo, il rientro a Cosenza, perchè a casa non potevi restare ... ma solo per poco; qualche altra settimana presso lo studentato e, dunque, l’ingresso definitivo in casa, probabilmente per aver creato dispiacere a mamma dopo averti scattato decine e decine di fotografie prima della mia ripartenza per l’università. Dopo tutto, erano stati enormi gli sforzi per rimetterti in vita e mi piangeva il cuore vederti dare a qualcun altro che magari ti avrebbe trattato peggio.
Da allora, ci siamo visti solo le due estati successive, durante le vacanze di Natale e di Pasqua. Siam stati insieme per un anno intero dopo la mia laurea e, da quando lasciai definitivamente casa, nell’agosto 2004, soltanto pochi mesi l’anno siamo stati insieme e ci siamo visti.
Tu però, non sei mai cambiato, sei sempre stato lo stesso cane festoso, gioioso ed accogliente ad ogni mio ritorno. Io ero contento di rivederti i primi giorni, felice di poter stare di nuovo inseme a te e desideroso di portarti a fare passeggiate; poi, mi sentivo stufo e seccato dalle tue insistenti richieste di coccole, alle quali comunque cedevo per disperazione.
Non dimentico quando, alla notte, guardando programmi in tv fino a tardi, tu dalla camera da letto partivi e ti posizionavi dietro la porta chiusa del salotto. Un pianto leggero, giusto per farti sentire, ed io ti aprivo la porta, per farti prendere posto sul divano, vicino a me, per dormire mentre ti accarezzavo o ti appoggiavo semplicemente una mano sul corpo o sulle zampette, finchè non andavamo a dormire nei nostri letti.
Questo non siamo riusciti a fare spessissimo: tu dormire sul mio letto per lunghi periodi. Restavi sul mio letto al massimo una decina di minuti, poi andavi via.
Pane, la tua passione, come la mia. Quanto ne hai mangiato! Preferendolo a qualsiasi croccantino o carne bollita che mamma ti preparava! Quanto te ne abbiamo dato per il semplice fatto di tenerti buono e silenzioso, facendoti smettere di sbuffare, con il tuo solito modo di attirare l’attenzione!
Adesso, alle 19:02, ricevo il messaggio in cui c’è scritto che sei ritornato a casa, nel tuo ultimo viaggio in auto. Questa volta, non per rientrare dalla quotidiana passeggiata lungo il mare ma per trovare riposo per sempre, sconfitto da una malattia a cui tu non ti sei opposto in alcun modo, senza mostrare il minimo segno di dolore o di sofferenza, senza rumori, affrontando da solo (senza di me) la morte.
Bisogna farsi sentire, Robin. Non bisogna restare soli. Tale cane, tale padrone, si dice. Perciò, Robin, spero che questo ulteriore tassello nella mia vita possa farmi pienamente comprendere e vivere al meglio ciò che più conta nella vita: VIVERE.
Vivere ogni forma d’ esperienza, senza limiti, senza timori, senza paure, senza colpevolizzazioni e con quanto più ottimismo si ha a disposizione. Perchè ora ci siamo ... dopo ... L’ultima volta che ti ho visto è stato oggi pomeriggio, tramite internet, perchè ho voluto ardentemente vederti prima della tua fine. Erano le 15:30, tu eri disteso vicino al termosifone del salotto, sotto il tavolo ... a mala pena hai alzato per un secondo la testa per capire cosa stava accadendo, giusto per farti vedere ancora vivo, come nella fotografia spedita sul cellulare poco prima dei tuoi ultimi respiri di vita ... poi non ci sei stato più e sei divenuto passato in un sol colpo. Drasticamente passato.
Ora ci siamo, dopo chi lo sa: per questo motivo, bisogna vivere senza mancanze e senza scocciature, cosa in cui sono un campione del mondo.
Cercando nel mio archio, ho trovato solo quest’unica foto di te, da solo, bellissimo: mi sono sorpreso per questo, credevo di averne altre di te scattate nello stesso periodo dell’estate scorsa; invece, mi sono solo rimaste le primissime foto di te appena entrato in casa e quelle subito dopo la mia laurea, nel lontano 2003.
Anche a te dirò la stessa cosa che non ho mai detto a papà: ti voglio bene, mio fedelissimo cane.
Arrivederci.
Due schiocchi di dita, il nostro richiamo
22/03/2011, 19:32
Da pochi minuti, alle 18:16, ho ricevuto la chiamata di mamma dicendo che ti avevano addormentato e che, quindi, a breve la tua vita si sarebbe conclusa.
Lontano da me. Io, lontano da te.
Avrei voluto esser li con te, in questo momento, per rendere onore alla tua incommensurata fedeltà, nonostante siano passati da pochissimo 10 anni ... nonostante il solo 25% della tua vita trascorsa insieme a me.
Mi fa strano pensare che, dopo tutti gli sforzi fatti perchè tu sopravvivessi all’abbandono ed alla malattia, quando eri appena un cucciolo di due mesi, l’orribile malattia ti abbia portato via senza farsi sentire, nel giro di pochi giorni.
Mentre tu, addormentato, stai per ricevere l’iniezione letale, io qui, sulla mia poltrona, penso a te, piango e faccio l’unica cosa che da tre anni a questa parte mi procura un pò di sollievo: scrivere.
Scrivo di te, adesso.
Sarà per senso di colpa, perchè magari non sono stato sempre un padrone fedele, perchè ti coccolavo per obbligo quando cercavi insistentemente le carezze piuttosto che per piacere, o perchè ultimamente interessato al nuovo “giocattolo” Micky piuttosto che a te, mostrandoti geloso e seccato.
Eppure, nonostante ciò, le tue feste si sprecavano: guaiti, salti altissimi, corse, pianti per decine di minuti ogni volta che mi vedevi ritornare a casa dopo mesi di lontananza; ad ogni mio spostamento in casa, tu eri sempre la mia ombra. Strano essere, l’uomo, strano essere, io: lezioni di infedeltà, di mancanze e di opportunità perse ne ho seguite a iosa nella mia vita ma non ho imparato a sufficienza la lezione, quella più importante: amare veramente ed incondizionatamente, come hai fatto tu, per sempre.
Mi è capitato una sola volta nella vita con una persona. Finita malissimo, ho reagito altrettanto malissimo.
L’ho fatto con te, appena trovatoti: pesavi un’etto forse, senza pelo, completamente solo e perso. Franco ti trovò sotto il suo dipartimento in università e ti portò nel sottoscala della palazzina maschile del Matrangola, nella speranza che un’anima buona ti trovasse e si prendesse cura di te. Per puro caso, ti trovai io ... o tu trovasti me. Da quel momento, ti sei affidato completamente a me, facendoti curare come meglio potevo, con tutti gli sforzi ed i sacrifici che potevo permettermi.
Nessuno scommetteva sulla tua sopravvivenza, nessuno. Tutti ti allontanavano perchè eri rognoso.
Fu la tua vittoria, la nostra vittoria più importante. Il pelo ricrebbe folto, lucido e liscio. Bellissimo. Da allora, gli altri cominciarono a guardarti e a considerarti, prendendosi cura di te, cibandoti a mia insaputa durante la notte e tu, per accettazione, cominciasti a dormire sul pianerottolo del terzo piano dove io vivevo, creandomi problemi con il portiere un giorno si e l’altro pure!
Divenisti anche la mascotte della squadra di calcetto dell’appartamento, ricordi? Tutti ti cercavano! Ti chiamavano Rex.
I nostri giochi erano semplici: pigne e mollette, ciò che il cortile del Matrangola ci offriva!!! Ma a te bastavano, ed anche a me. Il tuo richiamo erano gli schiocchi delle mie dita, cosa che hai mantenuto per tutta la vita, anche l’ultima volta che ci siamo visti a Natale, con i nipotini e tutta la famiglia che si divertiva e rideva per questo strano modo di richiamarti in modo distintivo. Tu, al sentire gli schiocchi, partivi di corsa verso di me, scodinzolando. Sempre.
Ti portai a casa nostra un fine settimana. Impossibile dimenticare il viaggio dallo studentato fino all’università, con il passaggio datoci da Silvio, e da qui in autobus fino a casa, con te nel cartone di risme di carta, appollaiato su un panno mentre smangiucchiavi l’involucro di cartone fino a ingoiarlo e rimetterlo tutto!!!
Dopo, il rientro a Cosenza, perchè a casa non potevi restare ... ma solo per poco; qualche altra settimana presso lo studentato e, dunque, l’ingresso definitivo in casa, probabilmente per aver creato dispiacere a mamma dopo averti scattato decine e decine di fotografie prima della mia ripartenza per l’università. Dopo tutto, erano stati enormi gli sforzi per rimetterti in vita e mi piangeva il cuore vederti dare a qualcun altro che magari ti avrebbe trattato peggio.
Da allora, ci siamo visti solo le due estati successive, durante le vacanze di Natale e di Pasqua. Siam stati insieme per un anno intero dopo la mia laurea e, da quando lasciai definitivamente casa, nell’agosto 2004, soltanto pochi mesi l’anno siamo stati insieme e ci siamo visti.
Tu però, non sei mai cambiato, sei sempre stato lo stesso cane festoso, gioioso ed accogliente ad ogni mio ritorno. Io ero contento di rivederti i primi giorni, felice di poter stare di nuovo inseme a te e desideroso di portarti a fare passeggiate; poi, mi sentivo stufo e seccato dalle tue insistenti richieste di coccole, alle quali comunque cedevo per disperazione.
Non dimentico quando, alla notte, guardando programmi in tv fino a tardi, tu dalla camera da letto partivi e ti posizionavi dietro la porta chiusa del salotto. Un pianto leggero, giusto per farti sentire, ed io ti aprivo la porta, per farti prendere posto sul divano, vicino a me, per dormire mentre ti accarezzavo o ti appoggiavo semplicemente una mano sul corpo o sulle zampette, finchè non andavamo a dormire nei nostri letti.
Questo non siamo riusciti a fare spessissimo: tu dormire sul mio letto per lunghi periodi. Restavi sul mio letto al massimo una decina di minuti, poi andavi via.
Pane, la tua passione, come la mia. Quanto ne hai mangiato! Preferendolo a qualsiasi croccantino o carne bollita che mamma ti preparava! Quanto te ne abbiamo dato per il semplice fatto di tenerti buono e silenzioso, facendoti smettere di sbuffare, con il tuo solito modo di attirare l’attenzione!
Adesso, alle 19:02, ricevo il messaggio in cui c’è scritto che sei ritornato a casa, nel tuo ultimo viaggio in auto. Questa volta, non per rientrare dalla quotidiana passeggiata lungo il mare ma per trovare riposo per sempre, sconfitto da una malattia a cui tu non ti sei opposto in alcun modo, senza mostrare il minimo segno di dolore o di sofferenza, senza rumori, affrontando da solo (senza di me) la morte.
Bisogna farsi sentire, Robin. Non bisogna restare soli. Tale cane, tale padrone, si dice. Perciò, Robin, spero che questo ulteriore tassello nella mia vita possa farmi pienamente comprendere e vivere al meglio ciò che più conta nella vita: VIVERE.
Vivere ogni forma d’ esperienza, senza limiti, senza timori, senza paure, senza colpevolizzazioni e con quanto più ottimismo si ha a disposizione. Perchè ora ci siamo ... dopo ... L’ultima volta che ti ho visto è stato oggi pomeriggio, tramite internet, perchè ho voluto ardentemente vederti prima della tua fine. Erano le 15:30, tu eri disteso vicino al termosifone del salotto, sotto il tavolo ... a mala pena hai alzato per un secondo la testa per capire cosa stava accadendo, giusto per farti vedere ancora vivo, come nella fotografia spedita sul cellulare poco prima dei tuoi ultimi respiri di vita ... poi non ci sei stato più e sei divenuto passato in un sol colpo. Drasticamente passato.
Ora ci siamo, dopo chi lo sa: per questo motivo, bisogna vivere senza mancanze e senza scocciature, cosa in cui sono un campione del mondo.
Cercando nel mio archio, ho trovato solo quest’unica foto di te, da solo, bellissimo: mi sono sorpreso per questo, credevo di averne altre di te scattate nello stesso periodo dell’estate scorsa; invece, mi sono solo rimaste le primissime foto di te appena entrato in casa e quelle subito dopo la mia laurea, nel lontano 2003.
Anche a te dirò la stessa cosa che non ho mai detto a papà: ti voglio bene, mio fedelissimo cane.
Arrivederci.
Due schiocchi di dita, il nostro richiamo
22/03/2011, 19:32
sabato 18 dicembre 2010
Ultimo post
Dopo il secondo compleanno di questo sito, oggi ho preso la fulminea decisione di trasferire la mia pagina in un altro luogo.
Il motivo è che da quando ho fatto pubblicità, non riesco più a scrivere ciò che voglio scrivere perchè mi sento osservato dalle uniche due persone che lo sanno e questo mi mette molto a disagio. Come dire, cuore non vede, occhio non duole: meglio non sapere certe cose anche se si sa che accadono.
Mi spiace non potervi fornire più notizie.
Non disattiverò la pagina dato che qui vi ho lasciato due interi anni di scritti, inoltre ho il collegamento ad un sito di una persona che finalmente ha trovato (mi auguro) la sua nuova felicità, ma non conoscerete il nuovo indirizzo.
Un abbraccio.
Il motivo è che da quando ho fatto pubblicità, non riesco più a scrivere ciò che voglio scrivere perchè mi sento osservato dalle uniche due persone che lo sanno e questo mi mette molto a disagio. Come dire, cuore non vede, occhio non duole: meglio non sapere certe cose anche se si sa che accadono.
Mi spiace non potervi fornire più notizie.
Non disattiverò la pagina dato che qui vi ho lasciato due interi anni di scritti, inoltre ho il collegamento ad un sito di una persona che finalmente ha trovato (mi auguro) la sua nuova felicità, ma non conoscerete il nuovo indirizzo.
Un abbraccio.
giovedì 9 dicembre 2010
A carte scoperte
Il senso di oppressione ancora mi attanaglia, fortissimo.
Non facevo che sperare in un cambiamento nella mia vita. So di desiderarlo ma non lo vedrò realizzato.
Ho lasciato un luogo dove mi sentivo stretto e troppo poco libero di esprimermi.
Sono partito con le migliori intenzioni, illudendomi che ogni problema che mi porto dietro da molto tempo sarebbe sparito con un pò di distrazione.
Era facile dare la responsabilità solo ad un posto e all'altra gente.
Le responsabilità sono esclusivamente mie, tutte mie quelle incapacità.
Difatti, ancora adesso, forse più di prima, quei pensieri che mi affossano pesano sempre più.
Non mi fanno respirare, non mi lasciano vivere pacificamente e come vorrebbero i miei sentimenti, come espressi nell'elenco di canzoni del cd regalato ad una collega di lavoro estremamente squisita che ha lasciato un segno indelebile.
So di essere particolarmente cattivo, taciturno, affatto disponibile, decisamente rabbioso, asociale negli incontri con gli amici e spietatamente competitivo da un pò di tempo a questa parte, tale da sopire quel carattere pacifico che mi appartiene ma che faccio fatica ad accettare, ora come ora, mai come mai.
Quei pensieri sono talmente forti e radicati, oramai, e tali da distruggere quanto di buono ho forse creato in quasi un anno di vita genovese. Non riesco a sbriciolarli e resto affossato nel parlare solo del passato.
Ero solito ascoltare Gary Go con la sua Wonderful. Mi è capitato di riascoltarla questa sera.
Today, I cannot say I am wonderful at all: I can't feel it in my soul.
01 - Eddie Vedder - Hard Sun
02 - Giovanni Allevi - Back to Life
03 - Elisa - Eppure, Sentire (Un Senso di Te)
04 - N/A. In sostituzione: Zacarias Ferreira - Manana en Tu Olvido
05 - Astòr Piazzolla - Libertango
06 - Bent - Silent Life
07 - Tom Jobins & Elis Regina - Aguas de Marco
08 - Lou Reed - Perfect Day
09 - U2 - Sunday Bloody Sunday
10 - Blur - Charmless Man
11 - Mike Shinoda - Enjoy the Silence
12 - Francesco de Gregori - Viaggi e Miraggi
13 - Gary Go - Wonderful
14 - Gavin DeGraw - Chariot
15 - Jack Johnson - Upside Down
16 - Jose Gonzalez - Heartbeat
17 - Jovanotti - Baciami Ancora
18 - Kings of Covenience - Misread
19 - Lazlo Bane - Superman
20 - Led Zeppelin - Stairway to Heaven
21 - Mika - We Are Golden
22 - Muse - Starlight
23 - Negrita - L'Uomo Sogna di Volare
24 - Obadiah Parker - Hey Ya (Acoustic Version)
25 - Tears for Fears - Call Me Mellow
26 - The Ramones - What a Wonderful World
27 - Deejay - Questo Natale 2009
Non facevo che sperare in un cambiamento nella mia vita. So di desiderarlo ma non lo vedrò realizzato.
Ho lasciato un luogo dove mi sentivo stretto e troppo poco libero di esprimermi.
Sono partito con le migliori intenzioni, illudendomi che ogni problema che mi porto dietro da molto tempo sarebbe sparito con un pò di distrazione.
Era facile dare la responsabilità solo ad un posto e all'altra gente.
Le responsabilità sono esclusivamente mie, tutte mie quelle incapacità.
Difatti, ancora adesso, forse più di prima, quei pensieri che mi affossano pesano sempre più.
Non mi fanno respirare, non mi lasciano vivere pacificamente e come vorrebbero i miei sentimenti, come espressi nell'elenco di canzoni del cd regalato ad una collega di lavoro estremamente squisita che ha lasciato un segno indelebile.
So di essere particolarmente cattivo, taciturno, affatto disponibile, decisamente rabbioso, asociale negli incontri con gli amici e spietatamente competitivo da un pò di tempo a questa parte, tale da sopire quel carattere pacifico che mi appartiene ma che faccio fatica ad accettare, ora come ora, mai come mai.
Quei pensieri sono talmente forti e radicati, oramai, e tali da distruggere quanto di buono ho forse creato in quasi un anno di vita genovese. Non riesco a sbriciolarli e resto affossato nel parlare solo del passato.
Ero solito ascoltare Gary Go con la sua Wonderful. Mi è capitato di riascoltarla questa sera.
Today, I cannot say I am wonderful at all: I can't feel it in my soul.
01 - Eddie Vedder - Hard Sun
02 - Giovanni Allevi - Back to Life
03 - Elisa - Eppure, Sentire (Un Senso di Te)
04 - N/A. In sostituzione: Zacarias Ferreira - Manana en Tu Olvido
05 - Astòr Piazzolla - Libertango
06 - Bent - Silent Life
07 - Tom Jobins & Elis Regina - Aguas de Marco
08 - Lou Reed - Perfect Day
09 - U2 - Sunday Bloody Sunday
10 - Blur - Charmless Man
11 - Mike Shinoda - Enjoy the Silence
12 - Francesco de Gregori - Viaggi e Miraggi
13 - Gary Go - Wonderful
14 - Gavin DeGraw - Chariot
15 - Jack Johnson - Upside Down
16 - Jose Gonzalez - Heartbeat
17 - Jovanotti - Baciami Ancora
18 - Kings of Covenience - Misread
19 - Lazlo Bane - Superman
20 - Led Zeppelin - Stairway to Heaven
21 - Mika - We Are Golden
22 - Muse - Starlight
23 - Negrita - L'Uomo Sogna di Volare
24 - Obadiah Parker - Hey Ya (Acoustic Version)
25 - Tears for Fears - Call Me Mellow
26 - The Ramones - What a Wonderful World
27 - Deejay - Questo Natale 2009
mercoledì 24 novembre 2010
Psicologia di una vaschetta d'alluminio
Una comunissima vaschetta d'alluminio come da fotografia può svelare i segreti sulla personalità di ciascuno di noi?
Lavoro in un ambiente di ricerca scientifica e, qualcuno dei miei colleghi, ha avuto la geniale idea di ricavare il profilo di personalità di ciascuno di noi in base all'uso di questo contenitore prima di essere gettato tra i rifiuti.
Sembrerà pazzesco, ma i risultati ottenuti sono stati perfetti.
Io ed i miei colleghi siamo soliti ordinare il pranzo da un catering esterno.
Finito il pranzo, abbiamo notato che ognuno di noi fa un uso particolare della confezione. C appoggia senza chiudere giusto il coperchio di cartone; lo stesso fa l'altro C, abbondando l'interno di altri rifiuti. D e S piegano leggermente le pareti lunghe, ma sostanzialmente la confezione risulta simile a quella degli altri due e non lasciano il coperchio. A, invece, piega completamente prima le pareti lunghe, poi quelle corte e lascia uno spiraglio centrale da cui fuoriesce il tovagliolo.
Infine, ci sono io. La mia confezione risulta completamente chiusa e nulla trapela dall'involucro, che ormai è diventato un tappeto metallico.
Trarre le conclusioni è semplicissimo: S ha correlato i differenti modi di trattamento con la personalità di ciascuno di noi, rivelando come chi lascia la vaschetta intatta e libera di contenere altro è una persona accogliente, aperta ed espansiva.
Chi la piega, è una persona chiusa che lascia trapelare poco di sè, anche se mantiene degli spiragli di ricezione (il tovagliolo che spunta verso l'esterno).
Chi, poi, compatta a sottiletta senza lasciare spiragli è, testuali parole, "chiuso a riccio".
Io.
Ovviamente, tutto è uno scherzo ma anche questi, come le leggende, nascondono un pesantissimo fondo di verità.
Lavoro in un ambiente di ricerca scientifica e, qualcuno dei miei colleghi, ha avuto la geniale idea di ricavare il profilo di personalità di ciascuno di noi in base all'uso di questo contenitore prima di essere gettato tra i rifiuti.
Sembrerà pazzesco, ma i risultati ottenuti sono stati perfetti.
Io ed i miei colleghi siamo soliti ordinare il pranzo da un catering esterno.
Finito il pranzo, abbiamo notato che ognuno di noi fa un uso particolare della confezione. C appoggia senza chiudere giusto il coperchio di cartone; lo stesso fa l'altro C, abbondando l'interno di altri rifiuti. D e S piegano leggermente le pareti lunghe, ma sostanzialmente la confezione risulta simile a quella degli altri due e non lasciano il coperchio. A, invece, piega completamente prima le pareti lunghe, poi quelle corte e lascia uno spiraglio centrale da cui fuoriesce il tovagliolo.
Infine, ci sono io. La mia confezione risulta completamente chiusa e nulla trapela dall'involucro, che ormai è diventato un tappeto metallico.
Trarre le conclusioni è semplicissimo: S ha correlato i differenti modi di trattamento con la personalità di ciascuno di noi, rivelando come chi lascia la vaschetta intatta e libera di contenere altro è una persona accogliente, aperta ed espansiva.
Chi la piega, è una persona chiusa che lascia trapelare poco di sè, anche se mantiene degli spiragli di ricezione (il tovagliolo che spunta verso l'esterno).
Chi, poi, compatta a sottiletta senza lasciare spiragli è, testuali parole, "chiuso a riccio".
Io.
Ovviamente, tutto è uno scherzo ma anche questi, come le leggende, nascondono un pesantissimo fondo di verità.
Traccia libera
Il mio voto medio agli scritti d’italiano era sempre attorno al cinque. Ricordo bene le uniche due volte in cui ho ricevuto voti soddisfacenti: sono accadute in terza media e in seconda liceo. Erano temi che non prevedevano il commento ad un brano letterario; erano tracce che riguardavano gli interessi personali: il programma tv preferito e il tempo libero, rispettivamente. Quest’ultimo scritto lo ricordo particolarmente bene perchè la mia professoressa era solita lasciare un commento, prima di segnare quel numero con il suo pennarello rosso. Scrisse: “Finalmente, questo è l’Andrea che voglio vedere uscire dagli scritti. 7 e mezzo”.
Allora, non avevo una precisa idea di come organizzare un tema, non sapendo dare corpo alle idee. Vivevo costantemente l’esperienza del “non so cosa scrivere”, ma era vero! Giravo attorno alle parole della traccia, parlando in modo generale e senza apportare un mio pensiero, una mia emozione o un’esperienza vissuta direttamente in prima persona. Riguardandomi con gli occhi di oggi, posso certamente affermare che ero incapace. Non sapevo affatto cogliere il vero senso di quelle tracce e non avevo affatto vissuto il mondo che mi circondava. Ero terribilmente passivo.
Quando è successo di sapere cosa scrivere, “stranamente” ottenevo risultati sorprendenti.
È una costante: meravigliarmi per qualcosa di estremamente N O R M A L E, quale è esprimersi.
Per me, non è affatto normale.
Lo dimostro in questo periodo. Sto vivendo in modo particolarmente chiuso da molte settimane. Non ho voglia di stare vicino a nessuno, ne in casa ne al lavoro; se capita di organizzare un’uscita con gli amici-colleghi, non dico di no a priori ma, una volta con loro, non apro bocca. E si che lo notano. Se anche provassero a chiedermi qualcosa su come sto, glisserei e direi che non c’è nulla di particolare che mi sta capitando. Al lavoro, da quando entro fino a quando esco, piego la schiena sotto cappa, lo faccio anche male, e non vedo gli altri.
Probabilmente, ho quella voglia di esprimermi come in quei due temi, ho voglia di parlare di me ma l’ambiente e le persone con cui mi frequento, in questo momento, non riescono a soddisfare il mio desiderio.
Mi ritrovo ancora una volta a "non saper cosa ... dire".
Allora, non avevo una precisa idea di come organizzare un tema, non sapendo dare corpo alle idee. Vivevo costantemente l’esperienza del “non so cosa scrivere”, ma era vero! Giravo attorno alle parole della traccia, parlando in modo generale e senza apportare un mio pensiero, una mia emozione o un’esperienza vissuta direttamente in prima persona. Riguardandomi con gli occhi di oggi, posso certamente affermare che ero incapace. Non sapevo affatto cogliere il vero senso di quelle tracce e non avevo affatto vissuto il mondo che mi circondava. Ero terribilmente passivo.
Quando è successo di sapere cosa scrivere, “stranamente” ottenevo risultati sorprendenti.
È una costante: meravigliarmi per qualcosa di estremamente N O R M A L E, quale è esprimersi.
Per me, non è affatto normale.
Lo dimostro in questo periodo. Sto vivendo in modo particolarmente chiuso da molte settimane. Non ho voglia di stare vicino a nessuno, ne in casa ne al lavoro; se capita di organizzare un’uscita con gli amici-colleghi, non dico di no a priori ma, una volta con loro, non apro bocca. E si che lo notano. Se anche provassero a chiedermi qualcosa su come sto, glisserei e direi che non c’è nulla di particolare che mi sta capitando. Al lavoro, da quando entro fino a quando esco, piego la schiena sotto cappa, lo faccio anche male, e non vedo gli altri.
Probabilmente, ho quella voglia di esprimermi come in quei due temi, ho voglia di parlare di me ma l’ambiente e le persone con cui mi frequento, in questo momento, non riescono a soddisfare il mio desiderio.
Mi ritrovo ancora una volta a "non saper cosa ... dire".
domenica 14 novembre 2010
Vecchi dialoghi
Un fine settimana all'insegna delle pulizie generali in casa, terminati poco fa con il risistemare l'insieme di cartacce che mi porto dietro da tre traslochi (intendasi città) a questa parte.
Dallo spulciare una quantità non esagerata di libri, carte di viaggi e documenti, ho ritrovato un vecchio dialogo avuto con il mio carissimo amico (nonchè padrino di cresima), Davide, che ho avuto la fortuna di conoscere durante il mio periodo ferrarese. Un dialogo che è avvenuto più di due anni e mezzo fa.
Un dialogo strettamente privato, che riguarda me come centro del discorso.
Prima di buttar via queste carte, ho pensato di voler riscrivere e tenere a memoria digitale alcuni punti più significativi.
D.: ultimamente non ti ho neanche chiesto di come procede con la psicologa, se ci sei tornato e cosa hai deciso di fare, visto che era forse l'ultima volta ...
A.: non questo lunedì, ma quello precedente, ne sono uscito un pò "anestetizzato"; infatti, l'altro giorno sono andato da lei con un pò di preoccupazione ma alla fine è stato un incontro fruttifero, ho inteso alcune cose importanti, alle quali prima non davo molta importanza anche se apparentemente le percepivo e non le applicavo nella maniera corretta. Sono un pò criptico, vero?
D.: criptico ... sei Andrea, quindi è così, ma io ho capito ciò che vuoi dire, o almeno credo ...
A.: non riguarda solo la storia con Tatiana ... si, quello ha un bel peso ma voglio gestirmi un pò meglio, probabilmente prima non lo facevo abbastanza
D.: immagino che tutto quello che viene fuori non graviti attorno a quella storia, magari quello è stato il motivo principale, ma già che ci sei ti serve a fare chiarezza, va benissimo ...
A.: probabilmente, davo per "scontato" un pò di cose, si ...
D.: l'unica cosa che mi viene da dirti, fuori dai denti, senza fare troppi giri di parole (altrimenti non sarei io!!!) è questo: non devi continuare ad andare dalla psicologa solo per riuscire a tirare fuori delle cose che hai dentro, nel senso ... è sicuramente utile ed un buon metodo iniziale, soprattutto per i risultati che sta dando, ma prima o poi "devi imparare" a farlo con le persone che hai attorno ... spero di essermi spiegato ... non per forza con me o la Linda ... ma tutte le persone che ti stanno e che senti vicine, anche per un breve lasso di tempo ... perchè, se il momento lo permette, credo che qualsiasi chiacchierata con una persona che ha voglia di ascoltarti sia importantissima ... anche se non ti conosce più di tanto ... o almeno a me capita, quindi credo possa valere per tutti ...
A.: sento però delle difficoltà oggettive, probabilmente prima di tutto è quella di esprimere pienamente le mie emozioni ed i miei sentimenti. So che non posso prendere la psicologa come l'unica persona con cui sforzarmi a fare queste cose, come anche te e la Linda, che siete le prime persone ... dovrò vedermela da solo
D.: si, così a naso è la principale ... ma visto che mediamente fai fatica ad aprirti credo sia normale ... però, anche se tu non hai tutta questa confidenza con delle persone, se hai bisogno di parlare, non devi mica partire da zero e raccontare tutto ... basta solo quel pò per farti capire ... poi, magari, se si deve creare un bel rapporto di dialogo, amicizia o quant'altro viene da se ...
A.: si, comprendo ciò che dici. E' comunque una forma di "difesa", di protezione, riesco a parlare apertamente (secondo il modo tutto personale di concepire questo termine) solo con persone di cui mi fido tantissimo. Non è un caso che questo sia avvenuto raramente finora, sono giusto poche persone
D.: sono consapevole di questo, del fatto che fai fatica ad aprirti ... però, devi cercare di farlo di più, soprattutto se non vuoi rischiare di ritrovarti nella condizione in cui eri qualche mese fà.
Per fortuna, la condizione in cui mi trovavo qualche mese fa a cui fa riferimento Davide, non l'ho più vissuta.
E' rimasta soltanto la difficoltà nell'aprirmi. Devo dire che ho fatto qualche passo in avanti, ora riesco a confidarmi di più anche con persone con cui ho un rapporto meno stretto od anche occasionale.
Mi fa strano ogni volta che mi capita: mi sembra di vivere un piccolo miracolo, qualcosa di inimmaginabile ed incredibile, senza pensare che certamente si tratta di pura quotidianità, qualcosa che avviene sempre e che io percepisco come un evento di proporzioni colossali.
Succede anche questo.
Altrimenti, non sarei Andrea.
Dallo spulciare una quantità non esagerata di libri, carte di viaggi e documenti, ho ritrovato un vecchio dialogo avuto con il mio carissimo amico (nonchè padrino di cresima), Davide, che ho avuto la fortuna di conoscere durante il mio periodo ferrarese. Un dialogo che è avvenuto più di due anni e mezzo fa.
Un dialogo strettamente privato, che riguarda me come centro del discorso.
Prima di buttar via queste carte, ho pensato di voler riscrivere e tenere a memoria digitale alcuni punti più significativi.
D.: ultimamente non ti ho neanche chiesto di come procede con la psicologa, se ci sei tornato e cosa hai deciso di fare, visto che era forse l'ultima volta ...
A.: non questo lunedì, ma quello precedente, ne sono uscito un pò "anestetizzato"; infatti, l'altro giorno sono andato da lei con un pò di preoccupazione ma alla fine è stato un incontro fruttifero, ho inteso alcune cose importanti, alle quali prima non davo molta importanza anche se apparentemente le percepivo e non le applicavo nella maniera corretta. Sono un pò criptico, vero?
D.: criptico ... sei Andrea, quindi è così, ma io ho capito ciò che vuoi dire, o almeno credo ...
A.: non riguarda solo la storia con Tatiana ... si, quello ha un bel peso ma voglio gestirmi un pò meglio, probabilmente prima non lo facevo abbastanza
D.: immagino che tutto quello che viene fuori non graviti attorno a quella storia, magari quello è stato il motivo principale, ma già che ci sei ti serve a fare chiarezza, va benissimo ...
A.: probabilmente, davo per "scontato" un pò di cose, si ...
D.: l'unica cosa che mi viene da dirti, fuori dai denti, senza fare troppi giri di parole (altrimenti non sarei io!!!) è questo: non devi continuare ad andare dalla psicologa solo per riuscire a tirare fuori delle cose che hai dentro, nel senso ... è sicuramente utile ed un buon metodo iniziale, soprattutto per i risultati che sta dando, ma prima o poi "devi imparare" a farlo con le persone che hai attorno ... spero di essermi spiegato ... non per forza con me o la Linda ... ma tutte le persone che ti stanno e che senti vicine, anche per un breve lasso di tempo ... perchè, se il momento lo permette, credo che qualsiasi chiacchierata con una persona che ha voglia di ascoltarti sia importantissima ... anche se non ti conosce più di tanto ... o almeno a me capita, quindi credo possa valere per tutti ...
A.: sento però delle difficoltà oggettive, probabilmente prima di tutto è quella di esprimere pienamente le mie emozioni ed i miei sentimenti. So che non posso prendere la psicologa come l'unica persona con cui sforzarmi a fare queste cose, come anche te e la Linda, che siete le prime persone ... dovrò vedermela da solo
D.: si, così a naso è la principale ... ma visto che mediamente fai fatica ad aprirti credo sia normale ... però, anche se tu non hai tutta questa confidenza con delle persone, se hai bisogno di parlare, non devi mica partire da zero e raccontare tutto ... basta solo quel pò per farti capire ... poi, magari, se si deve creare un bel rapporto di dialogo, amicizia o quant'altro viene da se ...
A.: si, comprendo ciò che dici. E' comunque una forma di "difesa", di protezione, riesco a parlare apertamente (secondo il modo tutto personale di concepire questo termine) solo con persone di cui mi fido tantissimo. Non è un caso che questo sia avvenuto raramente finora, sono giusto poche persone
D.: sono consapevole di questo, del fatto che fai fatica ad aprirti ... però, devi cercare di farlo di più, soprattutto se non vuoi rischiare di ritrovarti nella condizione in cui eri qualche mese fà.
Per fortuna, la condizione in cui mi trovavo qualche mese fa a cui fa riferimento Davide, non l'ho più vissuta.
E' rimasta soltanto la difficoltà nell'aprirmi. Devo dire che ho fatto qualche passo in avanti, ora riesco a confidarmi di più anche con persone con cui ho un rapporto meno stretto od anche occasionale.
Mi fa strano ogni volta che mi capita: mi sembra di vivere un piccolo miracolo, qualcosa di inimmaginabile ed incredibile, senza pensare che certamente si tratta di pura quotidianità, qualcosa che avviene sempre e che io percepisco come un evento di proporzioni colossali.
Succede anche questo.
Altrimenti, non sarei Andrea.
sabato 13 novembre 2010
La mia vera paura
Oggi, per la prima volta, ho commentato il post di un altro blog.
Seguo i suoi scritti da qualche mese perchè li trovo interessanti, a volte mi immedesimo nei suoi pensieri e nelle sue ansie.
Questa persona ha paura di un cambiamento che, spero per lui, possa verificarsi al più presto.
Ho imparato che cambiare non deve essere motivo di paure: stimola la crescita personale, mi aiuta ad affrontare e superare le difficoltà che mi creo con il pensiero ed anche quelle oggettive.
Io sono sempre più convinto che, inconsciamente, tutti gli uomini abbiano un "codice di sopravvivenza" regolato da geni, che si attivano nel momento in cui stiamo entranto in un'area di turbolenze. Se siamo bravi a farci guidare da questo istinto, usciremo fuori dai problemi e dalle paure, prima o poi. Dobbiamo solo seguire l'istinto di sopravvivenza.
Per quanto mi riguarda, sulla base delle mie esperienze ho scorporato l'oggetto cambiamento in due grossi insiemi: cambiamenti indipendenti e cambiamenti dipendenti dagli altri.
Dei primi, oramai ho pieno controllo e l'ultima esperienza vissuta, cioè il trasferimento da Siena a Genova, è stato il fatto che ha definitivamente sancito la mia totale autonomia decisionale.
Delle seconde, invece, purtroppo ho ancora molto da imparare e da gestire.
Questo tipo di cambiamenti li desidero ma non riesco a realizzarli.
La mia più grande paura è quella di rischiare quando in mezzo ci si trovano persone che ruotano attorno al motivo del cambiamento desiderato.
La paura più grande riguarda il rischio nel dichiararsi alla persona verso cui si prova interesse: è enorme, ed è tale da generarmi un'infinità di paure e di bloccarmi totalmente.
Dicevo a Enzo: la novità è sempre un grosso stimolo per affrontare il cambiamento; il cambiamento aiuta a scoprire meglio chi siamo, perchè ci mostra aspetti a cui prima di questo momento magari non avevamo mai minimamente pensato; affronta il cambiamento senza grilli per la testa e goditi momento per momento tutte la novità che si presenteranno, lasciandoti trasportare dall'istinto.
Spero quanto prima di realizzare quel cambiamento che sto ricercando da molto tempo.
Vorrei che i due insiemi convergano in un unico grande contenitore per sentirmi pienamente soddisfatto.
Seguo i suoi scritti da qualche mese perchè li trovo interessanti, a volte mi immedesimo nei suoi pensieri e nelle sue ansie.
Questa persona ha paura di un cambiamento che, spero per lui, possa verificarsi al più presto.
Ho imparato che cambiare non deve essere motivo di paure: stimola la crescita personale, mi aiuta ad affrontare e superare le difficoltà che mi creo con il pensiero ed anche quelle oggettive.
Io sono sempre più convinto che, inconsciamente, tutti gli uomini abbiano un "codice di sopravvivenza" regolato da geni, che si attivano nel momento in cui stiamo entranto in un'area di turbolenze. Se siamo bravi a farci guidare da questo istinto, usciremo fuori dai problemi e dalle paure, prima o poi. Dobbiamo solo seguire l'istinto di sopravvivenza.
Per quanto mi riguarda, sulla base delle mie esperienze ho scorporato l'oggetto cambiamento in due grossi insiemi: cambiamenti indipendenti e cambiamenti dipendenti dagli altri.
Dei primi, oramai ho pieno controllo e l'ultima esperienza vissuta, cioè il trasferimento da Siena a Genova, è stato il fatto che ha definitivamente sancito la mia totale autonomia decisionale.
Delle seconde, invece, purtroppo ho ancora molto da imparare e da gestire.
Questo tipo di cambiamenti li desidero ma non riesco a realizzarli.
La mia più grande paura è quella di rischiare quando in mezzo ci si trovano persone che ruotano attorno al motivo del cambiamento desiderato.
La paura più grande riguarda il rischio nel dichiararsi alla persona verso cui si prova interesse: è enorme, ed è tale da generarmi un'infinità di paure e di bloccarmi totalmente.
Dicevo a Enzo: la novità è sempre un grosso stimolo per affrontare il cambiamento; il cambiamento aiuta a scoprire meglio chi siamo, perchè ci mostra aspetti a cui prima di questo momento magari non avevamo mai minimamente pensato; affronta il cambiamento senza grilli per la testa e goditi momento per momento tutte la novità che si presenteranno, lasciandoti trasportare dall'istinto.
Spero quanto prima di realizzare quel cambiamento che sto ricercando da molto tempo.
Vorrei che i due insiemi convergano in un unico grande contenitore per sentirmi pienamente soddisfatto.
martedì 26 ottobre 2010
Proattività
Rileggere questa parola, stamani, durante una riunione, mi ha fatto ritornare indietro con il pensiero a quando lavoravo a Siena. Era uno dei criteri di valutazione per il piano di sviluppo personale, il famigerato PDP che pesava sul 10% del mio lordo, ovvero quasi due mesi di stipendio che potevo o non potevo prendere.
A Siena, proattività significava, quindi, percepire in pieno o solo parzialmente il mio salario; a Genova, mi ha provocato un'enorme arrabbiatura che tutti (ma veramente tutti !!!) se ne sono accorti.
E' lungo spiegare tutti i motivi ...
Sostanzialmente, mi sono sentito come il rompicoglioni della situazione, che voleva imporre qualcosa agli altri, specialmente su dettagli che taluni potrebbero prendere per scontato ma che in pratica potrebbe essere visto come imperizia: cioè, pensare che una mancanza provocata per pigrizia da qualcuno è una mancanza che si propaga verso tutte le persone che lavorano nello stesso ambiente. Tanto ...
Non ho sentito nessuna critica mossa nei miei confronti però è come se le avessi percepite, forse sbagliando.
Anche perchè, a sostegno di questa mia sensazione, c'è stata la e-mail di una persona che scriveva " vediamo ora di mantenere le promesse ! ".
Mi è sembrato di risentire tutte quelle persone che incontravo ogni volta che ricercavo un appartamento in cui vivere, dove si affermavano grandi propositi sui turni di pulizie ma che, alla prova dei fatti, non sono mai stati realizzati.
Le chiacchiere sono bellissime, fare veramente è bellissimo di più, però.
Nonostante la felicità, l'orgoglio e i ringraziamenti a tutti da parte del mio capo per una notizia del genere, non mi sono sentito per nulla soddisfatto per questa mia proattività. Ho percepito ancora una volta la sensazione di essere una persona che viene da un altro pianeta e diversissimo dai miei amici, non facendomi affatto star bene.
A Siena, proattività significava, quindi, percepire in pieno o solo parzialmente il mio salario; a Genova, mi ha provocato un'enorme arrabbiatura che tutti (ma veramente tutti !!!) se ne sono accorti.
E' lungo spiegare tutti i motivi ...
Sostanzialmente, mi sono sentito come il rompicoglioni della situazione, che voleva imporre qualcosa agli altri, specialmente su dettagli che taluni potrebbero prendere per scontato ma che in pratica potrebbe essere visto come imperizia: cioè, pensare che una mancanza provocata per pigrizia da qualcuno è una mancanza che si propaga verso tutte le persone che lavorano nello stesso ambiente. Tanto ...
Non ho sentito nessuna critica mossa nei miei confronti però è come se le avessi percepite, forse sbagliando.
Anche perchè, a sostegno di questa mia sensazione, c'è stata la e-mail di una persona che scriveva " vediamo ora di mantenere le promesse ! ".
Mi è sembrato di risentire tutte quelle persone che incontravo ogni volta che ricercavo un appartamento in cui vivere, dove si affermavano grandi propositi sui turni di pulizie ma che, alla prova dei fatti, non sono mai stati realizzati.
Le chiacchiere sono bellissime, fare veramente è bellissimo di più, però.
Nonostante la felicità, l'orgoglio e i ringraziamenti a tutti da parte del mio capo per una notizia del genere, non mi sono sentito per nulla soddisfatto per questa mia proattività. Ho percepito ancora una volta la sensazione di essere una persona che viene da un altro pianeta e diversissimo dai miei amici, non facendomi affatto star bene.
sabato 23 ottobre 2010
Trial & Error
E' un modo di dire usato in ambito scientifico: si studia un certo fenomeno sperimentandolo, senza metterci troppo lavoro intellettuale. Si prova, si registra il risultato, se non è soddisfacente si ritenta facendo esperienza degli esperimenti precedenti, fino a giungere al risultato desiderato.
Dicono che la vita sia un "trial & error" continuo: si impara dalle proprie esperienze positive e negative, si ritenta se è andato male, cercando di migliorare durante le volte successive.
Non ci si dovrebbe sentire frustrati se, per qualsiasi motivo, le cose non andassero come ci si aspettasse: si è fortunati, o dotati di qualche talento speciale, se si realizzassero ... magari questo talento potrebbe chiamarsi esperienza ... chissà.
Non ci si dovrebbe neanche aspettare che qualcuno sostenga i nostri tentativi perchè è difficile, una volta abbandonata la tenera età, che qualcuno comprenda quanto bisogno di fiducia si abbia bisogno da parte degli altri: si vuole che ognuno trovi fiducia prima di tutto in sè stessi, nelle proprie capacità.
Provare e constatare che certe cose vanno (sempre) male, fa tendenzialmente cadere nella sensazione di incapacità.
Questo, scoraggia nel ritentare e riprovare.
Mi fa strano ripensare a quelle persone che ho conosciuto nel corso della mia vita, le quali ci provavano indiscriminatamente con chiunque, pur di conquistarle. Una volta, non concepivo questo modo di fare. Forse, oggi riesco a comprendere il perchè di alcuni loro atteggiamenti, almeno di una parte di essi, non di tutti: cercavano solo d'imparare.
Oggi, ho guardato le cose da un altro punto di vista: non più dal livello quotidiano "zero" ma da più in alto.
Ho visto sempre le stesse cose che si trovano giù, ma la prospettiva era diversa.
Non è una differenza da poco.
E' e n o r m e.
Dicono che la vita sia un "trial & error" continuo: si impara dalle proprie esperienze positive e negative, si ritenta se è andato male, cercando di migliorare durante le volte successive.
Non ci si dovrebbe sentire frustrati se, per qualsiasi motivo, le cose non andassero come ci si aspettasse: si è fortunati, o dotati di qualche talento speciale, se si realizzassero ... magari questo talento potrebbe chiamarsi esperienza ... chissà.
Non ci si dovrebbe neanche aspettare che qualcuno sostenga i nostri tentativi perchè è difficile, una volta abbandonata la tenera età, che qualcuno comprenda quanto bisogno di fiducia si abbia bisogno da parte degli altri: si vuole che ognuno trovi fiducia prima di tutto in sè stessi, nelle proprie capacità.
Provare e constatare che certe cose vanno (sempre) male, fa tendenzialmente cadere nella sensazione di incapacità.
Questo, scoraggia nel ritentare e riprovare.
Mi fa strano ripensare a quelle persone che ho conosciuto nel corso della mia vita, le quali ci provavano indiscriminatamente con chiunque, pur di conquistarle. Una volta, non concepivo questo modo di fare. Forse, oggi riesco a comprendere il perchè di alcuni loro atteggiamenti, almeno di una parte di essi, non di tutti: cercavano solo d'imparare.
Oggi, ho guardato le cose da un altro punto di vista: non più dal livello quotidiano "zero" ma da più in alto.
Ho visto sempre le stesse cose che si trovano giù, ma la prospettiva era diversa.
Non è una differenza da poco.
E' e n o r m e.
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