Pensavo oggi che, forse, un motivo per cui non apprezzo molto il mio lavoro è che non sento le molecole che sintetizzo come se fossero miei "figli".
Non mi prendo affatto cura dei composti una volta che li ho consegnati; mi sbatto per produrle e consegnarle pulite ma dopo non mi interesso dei risultati biologici, come invece fanno gli altri miei colleghi.
Sembra che essi vivano solo ed esclusivamente per quelle molecole; aspettano con ansia i risultati dei test e si esaltano se quei risultati sono buoni, perchè hanno fatto un'ottima scelta di reattivi. Ci sono arrivati avendo studiato e seguito passo passo la correlazione che esiste tra struttura ed attività biologica. Si dispiacciono se nel corso dei successivi test, alcuni parametri non sono come ci si aspetterebbe e si lamentano se a causa di dati particolarmente insoddisfacenti, la molecola viene definitivamente scartata.
Alcuni, si ricordano a memoria i codici di identificazione di ciascun composto.
Insomma, hanno la completa "tracciabilità" e padronanza su tutto ciò che fanno, sanno la pagella completa.
Hanno tanta passione per ciò che fanno, nonostante si lamentino di alcune condizioni lavorative poco favorevoli, come lo stipendio.
Io non ce l'ho quella passione.
Io faccio ciò che devo fare, il più delle volte calato dall'alto, ancor più faccio le stesse identiche, solite reazioni ed operazioni; poi, consegnati i prodotti finali, abbandono armi e bagagli e magari un giorno mi ricordo di andare a scoprire se qualche molecola è attiva.
Insomma, non ci trovo passione, non credo a ciò che faccio. Ecco perchè ci vado di controvoglia al lavoro, particolarmente in questo momento. Poi, a completare la ricetta, ci metto sempre quel "q. b." di complesso di inferiorità ed incapacità che non guasta mai.
Sarà perchè non sento importante per il mio benessere (che non c'è) il lavoro, l'ho davvero relegato all'ultimo posto rispetto a tanti anni fà, dove lo studio e l'attività erano le mie massime aspirazioni.
Poi, a compromettere ulteriolmente tutto, non mi trovo socialmente a mio agio in quell'ambiente di lavoro. Credo che se anche cambiassi lavoro, non mi troverei a mio agio lo stesso: cioè, è indipendente dagli altri, ma dipende solo ed esclusivamente da me e non riesco a trovare rimedio.
Una persona con la quale ho un pò più di "confidenza" mi ha suggerito che dovrei aprirmi di più, ma non ci riesco. Non so neanche cosa voglia dire aprirsi, in questo momento. Anzi, più i giorni passano, più ci penso e più mi chiudo. Non è insolito che a pranzo non dica affatto una parola e sia totalmente immerso nei miei pensieri, fuori da tutte le discussioni a cui gli altri danno vita. Capita, inoltre, che per qualche strana combinazione, in ufficio riesco a tirar fuori qualche parola e battuta, ma non un discorso articolato, coinvolgente e prolungato, come invece fanno gli altri.
Ritorno così punto e a capo ai miei problemi. Di sempre.
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