martedì 30 dicembre 2008

Quantificare il silenzio ...

Tanti giorni di assenza dal mio spazio, dal mio microcosmo.

Diversi i motivi.
La voglia di silenzio, di non dire niente, principalmente;
pigrizia, anche: questa c’entra sempre.
In più, la prima settimana di vacanze l’ho trascorsa a letto, con l’influenza … che questa volta sembra aver colpito duramente, dato il senso di stanchezza che continuamente provo.
Ma basta dare tempo al tempo perché lo spunto di riflessione si materializzi, lanciato per (solita) cattiveria da una (la solita) delle mie sorelle.
Faceva freddo in casa e tentavo di avviare un condizionatore in salotto, dato che fino a pochi minuti prima la stanza era stata esposta al freddo, con le sue finestre ed i suoi balconi spalancati per permettere al pavimento ripulito di asciugarsi. E poi, perché a causa dell’influenza sentivo maggiormente freddo.
Quella scorbutica, non appena ha orecchiato i rumori provocati dal movimento delle pale del condizionatore, mi ha redarguito “suggerendomi” di accendere una stufa alogena (le virgolette sono d’obbligo, perché lei il verbo suggerire, come i suoi derivati, non sa contemplarlo nel suo vocabolario).
Sulla capacità di risparmio energetico … se vogliamo metterla così … ho alcuni dubbi sulla fondatezza del “suggerimento” di mia sorella … ma doveva ancora una volta sottolineare che lei è chi contribuisce maggiormente alla copertura delle spese … “sicuramente più di te”.
Quantificare.
Giudicare.
Ci risiamo: l’usuale atteggiamento di mia sorella.
Chi più dà, migliore è.
Dovrebbe leggersi la parabola dei talenti per capire alcuni concetti spiccioli della vita, senza necessariamente ritenersi cristiani o cattolici per farlo.
Quando so di aver messo da parte una certa cifra per me, allora do. Ho tutti i miei buoni motivi per dire questo, ma di sicuro non sono uno di quelli che non partecipa. Quanto ho dato in passato!
Restando in casa, solo con mia madre, non sono riuscito a chiederle sulla necessità di contribuire alle spese. Un po’ perché non mi sono mai sentito coinvolto in queste faccende, avendomi sempre tenuto fuori da tutte le decisioni senza chiedere pareri; un po’ perché mia madre negherebbe l’esistenza di una “questione contribuzione”; un po’ perché mi aspettavo certe risposte, come che non era necessario.
Silenzio; solo silenzio, senza scambiare nessuna parola di confronto o di risoluzione del problema, se esistente.
Come è quasi sempre stato.
Ancora una volta nel pomeriggio, quando ho accompagnato mia madre a rifarsi l’acconciatura: solo silenzio in auto, nessuna esternalizzazione di suoni che potessero rassomigliare a parole.
Come è quasi sempre stato.
Come è qualcosa che non riesco a fare con la maggior parte dei membri della mia famiglia: perché non c’è mai stato vero dialogo.
Sfiderei ognuno di loro a raccontare qualcosa su di me, non su fatti “spiccioli” ed “insignificanti” che mi riguardano, ma sul mio carattere.
Sanno solo che quando sono con gli altri, non sono come in loro presenza.
Tutto qui.
Ci sarà un motivo!

"Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti."

venerdì 19 dicembre 2008

Alla luce del buio


Oggi sono ritornato nella mia città adottiva.
Ho notato un repentino cambiamento d'umore sul mio volto: avevo un sorriso che non voleva più andar via.
Ho rivisto un mio carissimo amico, ho trascorso la serata con lui fino a pochi minuti fa.
Abbiamo chiacchierato e fatto gli idioti come ai vecchi tempi!

Ma non è tanto di questo che voglio scrivere, bensì cosa ho visto e cosa ho provato mentre lo aspettavo.

Ero in piazza centrale ed avevo voglia di bere un buon bicchiere di vino bianco frizzante.
Mentre lo assaporavo e lo gustavo, mi guardavo intorno per vedere come le illuminazioni natalizie rendessero ancora più bello, esaltandolo, l'ambiente della piazza.

Per puro caso, sono stato attirato da una finestra posta di fronte a me. Partendo dall'albero, è il terzo finestrone dal contorno bianco, quello della serie superiore tra le due che ci sono.
C'era una luce strana, o meglio ... in quella camera non c'era luce ma proveniva dal corridoio.
Si è creato un gioco di ombre molto particolare.
Perchè c'era una figura in movimento in quella stanza buia ... anzi ... due.
C'era una coppia.
Prima avevo notato solo lei, poi dal nulla è comparso anche lui.
Vedevo nitidamente le loro silhouettes, vedevo benissimo come si abbracciavano e come si baciavano romanticamente.
Erano in piedi, con lei che avvolgeva lui con le braccia e mentre si baciavano, si avvitavano. Si, roteavano su se stessi.
Lo hanno fatto tantissime volte.
Tutto molto lentamente, come se un regista invisibile stesse proiettando una pellicola al "rallenty".
Mi piace pensare che stessero facendo un atto di estrema romanticheria.
Un momento di vero amore, come quelle scene dei film, quelle che ti creano tante illusioni e che ti fanno pensare che l'amore debba essere sempre così.
Ho visto bene come lui le sfilava i vestiti dal corpo, avendo osservato le sue braccia alzarsi in aria ed i suoi capelli ondulare; poi, lui si è seduto, forse sul letto, ed ha cominciato ad accarezzarle e a baciarle il ventre e, ancora lentamente, risalire verso il suo volto, per riprendere la loro danza roteante mentre si scambiavano lunghi baci.
Poi, li ho visti definitivamente sparire nel buio per godere del loro momento di intimità, senza più esser visti e notati da nessuno.
Da me.

Ho provato tanta felicità per loro.
Anche quella famosa "indivia".
Ho sempre desiderato vivere un momento così!
Non una volta sola, ma ogni volta che ho al mio fianco la mia lei.

Mi piace pensare che quella fosse una coppia che si amasse totalmente e completamente; che fossero fidanzati; una coppia che non si fosse creata per l'occasione di una notte, senza nulla togliere o giudicare chi vive secondo questo stile.

Per questa sera, voglio pensare che il mondo e l'amore funzionino così.

giovedì 18 dicembre 2008

Rischiare

Oggi ho fatto qualcosa di diverso dal solito.
Specifico: per me è qualcosa di diverso in questo momento.
Sono stato a mensa prima del solito; alcuni miei colleghi pranzavano in compagnia e non c'era un posto aggiuntivo per me.
Mi sono sistemato da solo in un tavolo, con altre persone che conosco solo di vista e con i quali non ho mai scambiato due chiacchiere.
Qualche minuto dopo, giungono tre ragazze e si appostano vicino a me.
Sempre persone che conosco di vista, ma giusto con una di loro ho chiacchierato per qualche istante durante la cena aziendale della settimana precedente (solo perchè ero in compagnia degli altri miei colleghi).
Le ragazze chiacchierano, scambiano opinioni, fanno previsioni su cosa acquistare per i regali di Natale.
Io ascolto, distratto dalla mia "solitudine"; non partecipo.
Ascolto tanto i loro discorsi, quanto il mio silenzio interiore.
C'è una forza che vorrebbe far iniziare un dialogo con loro ... non so da dove cominciare ... ho paura di non sapere come iniziare.
Mi viene in mente che "quella ragazza" mi aveva accennato ad un corso di balli caraibici, così tento di partire da questo argomento.
Ma ho una assurda emozione: provo spavento.
Si, spavento di parlare e di temere che il dialogo non prenda avvio e che mi ignorino!
Cerco di rilassarmi, di pensare che "male che vada non è mia responsabilità", di prendere coraggio nell'esprimere le parole che ho in mente.
Poi ... le dico.
Le chiedo come va il suo corso di salsa cubana ed il discorso parte.
Sembrano tutte e tre interessate e contente: non ci si conosce tra i vari dipendenti dell'azienda: ognuno è ghettizzato, con i propri colleghi, nei vari dipartimenti, senza possibilità di scambio.
Mi domandano ed io rispondo, ed io domando loro.
A pranzo concluso, usciamo assieme dalla mensa, andiamo giù al distributore del caffè e si continua a chiacchierare.
Ci si saluta, ognuno ritorna al proprio lavoro e non ci si rivedrà per tutto il resto della giornata.

Ho provato davvero paura li seduto al tavolo, mentre mangiavo.
Paura di rischiare.
Mi sono sforzato di pensare al nulla in quei minuti trascorsi in compagnia delle tre ragazze; mi sentivo davvero strano, quasi stordito.
Parlavo molto pacatamente, come se mi vergognassi di esprimere i pensieri.

mercoledì 17 dicembre 2008

I giorni dei giudizi

Facile dire che la vita si vive come meglio si ritiene.

Ma ... come la mettiamo quando partecipano i propri giudizi?

Mi passa una strana idea per la testa ... che ... un pò per questioni culturali, un pò per un qualche costume sociale e per alcune "fantasticherie" personali ... il peggior malessere si prova quando deriva esclusivamente da noi stessi, dal nostro modo di auto-giudicarsi "giusto o sbagliato".

Scrivo in generale ma mi riferisco solo ed esclusivamente a me stesso!

Ripenso, infatti, a quando ho dovuto affrontare la scelta se restare dove vivo ora oppure se ritornare nella città in cui mi sono trovato benissimo, dove avrei guadagnato di più sebbene svolgendo un lavoro meno appagante dal punto di vista intellettuale.
In quel momento, mi sono caricato di enormi pesi addosso perchè decidevo se guadagnare, permettendomi il lusso di ipotecare il mio futuro con una casa, una macchina e chissà quanti viaggi.
Come se quel posto di lavoro l'avessi rubato, senza pensare che sono riuscito (e per davvero!) a strapparlo senza nessuna raccomandazione attraverso un concorso pubblico onesto!
Eppure, mi sono mortificato per ciò che stavo per fare.
I miei desideri mi rivolevano in quella città, vicino ai miei più cari amici, purtuttavia non svolgendo il lavoro per cui avevo studiato così tanto.
Soddisfacendo il 50% delle mie aspettative.

Come dire, la ragione (tramite il giudizio) ha prevalso sui sentimenti.
Difficile stabilire chi avrà avuto "ragione".

Tutto è nato da me.

C'è almeno un'altra situazione in cui mi giudico ... pesantemente: nei rapporti con l'altro sesso.

Perchè non parto dal presupposto che lei è una donna adulta e vaccinata e sa badare a se stessa, senza che sia io a dovermene preoccupare?
Perchè ho paura di baciare una donna se non sono certo dei sentimenti che prova verso di me?
Perchè non riesco a fare sesso occasionale?
Al massimo, succederà che mi respingerà. Al minimo, continuerà!
Perchè i miei desideri si scontrano pesantemente con questa necessità di avere certezze nella vita?
Chissà quanto ha origine dai miei giudizi?

martedì 16 dicembre 2008

y = cos(x)


E' la funzione matematica che mi caratterizza da un anno e mezzo ad oggi.

Il mio umore è così variabile. Ondulatorio. Periodico. Sfasato.

Ci sono momenti di ebbrezza fortissima in cui tutto mi appare bellissimo e piacevole.
Provo contentezza.

Ho consapevolezza di questo mio stato d'animo quando riesco a prendermi cura di me stesso, interessandomi ad una attività che mi coinvolge totalmente, come è stato il ballo caraibico.

Come adesso è scrivere in maniera del tutto anonima (sia perchè non dico chi sono, sia perchè non pubblicizzo) il mio blog, nel mio riservatissimo e desiderato orticello.

Mi sono abituato a pensare, per esperienza, che ad un così alto momento positivo debba arrivare, nel giro di pochi giorni, qualcosa che distrugga tutto.

Infatti, accade così.

Una volta accadeva perchè la donna di cui mi ero innamorato mi "stroncava", non essendo interessata a me ... almeno ... non come io lo desideravo.

Oggi accade perchè probabilmente sono io stesso che mi faccio del male.

Forse, sarà perchè mi rendo maggiormente conto dei miei difetti, che non so controllare in tutte le situazioni; così, mi lascio trascinare da essi invece di respingerli.

La conseguenza è di rovinarmi le giornate. La vita.

Dovrei essere molto meno permaloso e pensare che le persone non debbano necessariamente criticarmi e attaccarmi quando si rivolgono a me.

E' successo oggi.

Chissà quante altre volte è capitato in passato.

Non posso neanche immaginare il numero ...

lunedì 15 dicembre 2008

La paura del coraggio

La scorsa sera, immaginavo un incontro piacevole con una persona che ho conosciuto un anno fa.
Immaginavo una passeggiata, lungo la cinta muraria della città in cui lei vive.
Una conversazione molto rilassante, in cui si parlava di noi, dei nostri desideri, dei nostri sogni, dei nostri piaceri. In cui si ricordavano i tempi, seppur brevi, trascorsi assieme, rallegrandoci e facendo gli idioti mentre si ballava.

Una situazione reale. Qualcosa del genere accade.

In situazioni così, mi capita di vibrare fortemente nell'intimo e di trovarci qualcosa di "promettente".
Probabilmente, perchè percepisco di esser stato bravo, assieme a lei, nell'aver saputo creare una condizione emotiva travolgente.
Provando così tante emozioni, sento la spinta di conoscere più intimamente questa donna, entrare cioè in contatto emotivo, arrivando a condividere argomenti molto personali.

Anche questa è una situazione reale. Qualcosa del genere accade.

Immaginavo che le mie emozioni mi rapissero completamente, fino a farmi "volare", fantasticare su un possibile rapporto di coppia.
Provo sempre un benessere indescrivibile ed una gioia di altrettanta misura nel creare.
A questo punto ... mancherebbe solo "l'ufficialità" della relazione: un bacio.

Alla crescente intensità delle emozioni positive che provo e che la relazione sviluppa, parallelamente si fa avanti una "costante" nelle mie situazioni importanti: la paura.
Nonostante il fortissimo desiderio di baciare la donna al mio fianco, sarei capace di ritirarmi e procrastinare all'evento successivo. Probabilmente, al successivo ancora e così via.
Ad un certo punto, si insinua dentro di me il "meccanismo della certezza" che i sentimenti dell'altra persona debbano essere almeno identici ai miei.
Siano pienamente condivisi.
Pur percependo questa "capacità sentimentale", mi sentirei fortemente bloccato.
Avvertirei una grossissima paura di agire.
La serata finirebbe, ritorneremmo ognuno alle proprie case senza che io abbia "rischiato".

Se fosse stata lei a proporsi, non avrei avuto alcun dubbio: sarebbe stata la "dimostrazione". In questo modo, non avrei avuto nessun timore nel lasciarmi trascinare.

In situazioni così, devo sentirmi sentimentalmente protetto.
Prima di abbattere l'ultimissimo baluardo della mia difesa, devo essere sicuro sui sentimenti nei miei confronti.

Non riesco a baciare una donna "di colpo".
D'impulso.
C'è chi lo fa.
Ci prova, come dico io.
La sua filosofia potrebbe essere tentare non nuoce.
Per quanto riguarda me, tentare nuoce.
Eccome!
Il rifiuto mi imbarazzerebbe fino all'inverosimile.
E' una condizione generalizzabile a molte altre casistiche della mia vita.

Questa condizione l'ho vissuta, un anno e mezzo fa.
Ho domandato alla donna verso cui provavo una fortissima attrazione sentimentale se potevo baciarla.
Lei mi rispose: "Non devi chiedermelo, devi farlo e basta!"

Non ce la faccio a "farlo e basta".

Assertivo al 46%.

domenica 14 dicembre 2008

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La tua percentuale di conformismo è del 26%
Fuori dal coro. Se hai risposto sinceramente alle domande del test, allora possiamo concludere che sei una persona che ama distinguersi dagli altri, arrivando anche a cercare l'originalità e la diversità. Sarà un bene o un male? Questo non possiamo saperlo, tuttavia possiamo dirti che uniformarsi agli altri può fare comodo, ma difficilmente appaga; essere diversi a tutti i costi aiuta probabilmente a sentirsi speciali, forse anche migliori degli altri, ma con tutta probabilità nasconde sotto sotto un notevole bisogno di affetto insoddisfatto. L'importante non è tanto essere conformi alla massa o alternativi, quanto sentirsi in pace con se stessi.

La tua percentuale di assertività è del 46%
A volte sai essere assertivo, a volte invece no. Il tuo punteggio è medio-basso e lascia trasparire una certa tendenza a non essere sempre in grado di farti rispettare. Capita infatti che tu tenga maggiormente in considerazione le esigenze e le opinioni altrui rispetto alle tue. Questo non è un difetto, sia ben chiaro, tuttavia a volte temi che gli altri possano stufarsi di te oppure non averti a cuore se manifesti le tue esigenze oppure ti mostri contrario ai loro programmi. Altre volte sei più equilibrato e sai far valere la tua volontà. Forse hai bisogno di rispettare di più te stesso e di tenere maggiormente in considerazione, tu per primo, le tue necessità. Vedrai che in questo modo anche gli altri ti rispetteranno di più.

La tua percentuale di autostima è del 44%
Scarsa autostima. La tua autostima è abbastanza bassa e denota una certa tendenza a non credere sufficientemente in te stesso. Probabilmente a volte ti capita di pensare che gli altri siano migliori di te e che sappiano sempre come affrontare i problemi mentre tu non sei abbastanza bravo o capace. Ti succede probabilmente di provare anche un senso di incertezza a volte, e di non essere sicuro sul da farsi. Nelle situazioni sociali non sempre ti senti a tuo agio; di fronte ad una situazione nuova sei spesso intimorito, anche se non sempre... A volte credi che gli altri possano giudicarti malamente ed allontanarsi da te, se chiederai loro aiuto. Se la tua condizione ti fa sentire a disagio, cerca di lavorare sull'idea che gli altri non sono necessariamente migliori e che le situazioni nuove e inaspettate possono anche fornire stimoli piacevoli e costruttivi. Inoltre non devi lasciarti condizionare eccessivamente dal timore di perdere la stima e la fiducia degli altri, in fondo chi ti vuole davvero bene non cambierà opinione su di te così facilmente.

La tua percentuale di estroversione è del 52%
Questo significa che sei una persona equilibrata, non troppo concentrata sul proprio mondo interno ma nemmeno eccessivamente dipendente dalla realtà esterna. Ti piace stare con gli altri ma sei anche in grado di stare da solo, analizzare il tuo mondo interiore e comunicare con te stesso.

La tua capacità di ascolto è del 59%
-Ascoltatore medio- In generale mostri la capacità di ascoltare gli altri senza distrarti e cercando di cogliere gli aspetti salienti di ciò che viene detto, ma a volte i tuoi pensieri o la voglia di fare altro prendono il sopravvento e finisci per perdere il filo della conversazione, con il risultato di fare finta di aver capito tutto quando invece ti stai chiedendo ancora chi era il soggetto del discorso... Cerca di ascoltare sempre le persone con cui interagisci e dare loro l'attenzione che meritano. Se sai di avere un pensiero o un appuntamento che ti impediscono di concentrarti puoi rimandare il discorso, ma non seguirlo per metà. Il tuo interlocutore apprezzerà la tua sincerità e saprà di potersi fidare di te in futuro.

La tua percentuale di permalosità è del 46%
Discreta permalosità. Le tue risposte al test suggeriscono la presenza di un medio livello di permalosità. Non di rado percepisci attacchi personali o critiche laddove non vi era alcuna intenzione di offenderti da parte del tuo interlocutore. Ti riesce dunque difficile controllare le tue reazioni d'impulso alle parole delle altre persone, anche se a volte riesci a farlo con successo. Questo significa che possiedi tutti gli strumenti necessari per sviluppare ulteriormente la tua capacità di controllo. Cerca di non dare mai troppo peso alle parole altrui e, quando qualcosa non ti è chiara, non lasciarti sopraffare dall'emotività ma chiedi immediatamente spiegazioni.

La tua percentuale di sincerità è del 77%
Sincerità, ma fino ad un certo punto... Apprezzi la sincerità e spesso risulti essere piuttosto sincero, ma trovi che ci siano situazioni in cui una piccola bugia possa risultare utile ed evitarti qualcosa di spiacevole; si tratta sempre di bugie 'a fin di bene' a tuo parere... ma forse qualche volta c'è dietro un po' di malizia. Pensaci su!

La tua percentuale di empatia è del 68%
Alto livello di empatia. Questo significa che sei una persona capace di percepire lo stato emotivo degli altri nella maggioranza dei casi, e ciò ti permette di condividere con loro emozioni e stati mentali.

http://www.nienteansia.it/test/

Ascoltarti ... ascoltarsi

L'orchestra suona e lo fa seguendo uno stile comunitario.

Di fronte ai concertisti, c'è il pubblico che ascolta.

Mentre le note si mescolano e si confondono in aria generando musica, il pubblico è preso dal suono delle vibrazioni.

Chi ascolta, risuona alla stessa frequenza di quelle note e prova emozioni e si sente attratto e partecipe e condivide le sue emozioni. Nel silenzio interiore. O con la stessa orchestra ... magari applaudendola o accompagnandola al ritmo del battito delle mani.

Chi non ascolta, ha la sensazione che quelle note siano il risultato di un barbarico rumore.

Bisogna esser bravi a saper ascoltare chi suona.
Bisogna imparare.
E' un apprendimento faticoso.
Faticoso perchè si deve metter da parte se stessi.
Il proprio egocentrismo.
La voglia di dare sempre buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio, usando le parole di Fabrizio de Andrè.
Andare oltre i propri pensieri e le proprie logiche.
E' necessario.
Come capire, altrimenti, i bisogni di un neonato? Come fare ad essere un buon insegnante, rispettato dai propri alunni? Come un buon amico? Amante?

Ascoltare non comporta necessariamente esser daccordo con l' "esecuzione sinfonica", ma saper lo stesso rispettare e "rendere onore" all'originalità di pensiero ed emotiva.

Io non so esser sempre un bravo ascoltatore.

Mi sforzo.
Di ciò, me ne rendo conto.
Il tentativo lo faccio.

"Scolasticamente" parlando, mi applico ma con scarsi risultati.

So essere altamente empatico, risuonare alle stesse frequenze che vengono trasmesse nell'etere.
Purtroppo, capita di non comprendere appieno cosa quelle note vogliano dire.
E non ho il coraggio di chiedere spiegazioni, particolarmente quando non sono a mio agio.
Recepisco il suono di quelle note, ma a volte le sento "criptiche".
Ascoltare significa anche capire il senso di ciò che viene comunicato e, perchè no, imparare qualcosa di nuovo, "giusto o sbagliato" che sia.

Vale anche per me stesso.
Sarebbe bene dare maggiore ascolto alle mie note, imparare a comprenderne il messaggio, ed eseguirle tramite i miei "strumenti musicali": come le parole, i gesti, gli sguardi, il tatto.

sabato 13 dicembre 2008

Opera omnia ... vitae

Immagino un'orchestra costituita da cento elementi.
Un solo uomo ... che dirige il lavoro di così tante persone.
Formulo la bizzarra idea che solo il direttore detenga il potere e gli altri componenti debbano sottostare al suo volere e suonare secondo il suo piacere.
Poi, immagino la stessa orchestra senza il direttore ... di colpo, sento sparire concertualità, armonia, ritmo, tempo, unità. Ogni gruppo suona tempi diversi, con intensità differenti ... senza rispettare il suono degli altri gruppi ... come se, tutto ad un tratto, fossero stati mossi da uno spirito di dominazione e prevaricazione.
Niente vibrazioni delicate e dolci ... solo rumori aspri e duri che si mescolano assieme per generare un frastuono.
Un direttore d'orchestra non è poi, tutto sommato, un despota.
Coordina i vari elementi.
Smussa le imperfezioni ed appiana le situazioni di conflittualità musicali.
Esalta ora un gruppo, che viene appoggiato da un insieme di suoni di supporto per esaltarne le caratteristiche; in seguito, inverte i ruoli, abbassando i primi e innalzando i secondi.
Li fa suonare assieme ... poi li divide ... li riunisce nuovamente ... li separa ancora una volta. A volte sembra che li faccia suonare indipendentemente ... ma sta facendo creare loro un'opera comune.
Non promuove un elemento come indispensabile all'intera orchestra: fa si che tutti gli strumenti abbiano pari dignità ed espressione.
Suggerisce un modo di esecuzione dell'opera, sulla base delle emozioni che le note provocano: studia il modo più gentile nello staccare le note; contempla l'uso del vibrato; guarda alla totalità dell'esecuzione e non alle singole battute.
Prima ancora di lanciare l'esecuzione, avvia l'accordatura dei vari componenti affinchè il suono derivante sia omogeneo e dolce all'orecchio.
Rende autonomi i suoi gruppi, affidando loro la responsabilità di non prevaricare sugli altri e istruendoli al badare sempre all'interesse comune: la buona riuscita dell'opera.
Esalta i talenti individuali quando si raggiunge il risultato desiderato, suscitando nei suoi concertisti fierezza. Orgoglio. Libertà. Espressione. Comunicazione.
Non rende piatto ed uniforme l'intera opera ma, essendo lungimirante, individua i momenti di cambiamento di ritmo e li riarrangia nel contesto globale; in un certo senso, resta sempre in allerta e riadatta i passaggi a seconda della situazione in cui si trova ad eseguire la sonata.

Che differenza c'è tra una orchestra e la vita di tutti i giorni, una relazione di coppia, l'organizzazione aziendale o qualunque altra cosa possa venire in mente?

Sono sempre concertista.
Faccio parte di un'orchestra.
Vibro come corda di violino mosso dalle mie emozioni.
Desidero suonare la mia opera, la mia marcia di Radetzky... con la simultanea presenza di altri concertisti ...
arrivare all'applauso finale ... alla soddisfazione per la riuscita della suonata!


venerdì 12 dicembre 2008

Disagio. Adagio. Ad agio.

Questo martedì in piscina non c'era il mio solito istruttore.
Matteo è un ragazzo molto simpatico, "fulminato", sicuro di sè, oggettivamente bravo nel nuoto.
Forse, pretende un pò troppo dai suoi allievi e questo mi fa sentire a disagio.
Sono certo che lo farà con l'intento di stimolare ed accrescere la voglia di migliorarsi ma non si rende conto che gli altri, al livello principiante, sono diversi da lui e non hanno necessariamente le sue stesse doti natatorie e fisiche.
Così, quando c'è Matteo, non sempre riesco a dare il meglio di me: perdo subito fiato perchè sono frenetico e mi stanco rapidamente, mi sento obbligato a dimostrare e a mettermi cattivamente in competizione. E vai con i "bonari" rimproveri. Puntualmente, interviene il mio istinto che mi dice che non devo dimostrare niente a nessuno se non a me, e quindi lascio scivolare tutti i suoi richiami, recuperando da quella naturale tendenza che avrei nel demoralizzarmi.
Le mie emozioni e sensazioni sono diametralmente opposte quando Matteo è assente e lo sostituisce un suo collega, come è successo martedì.
Questi è una persona molto accogliente e paziente, sa infondere molta fiducia in me stesso, non pretende che sappia nuotare con tecnica e precisione ma quanto meno di svolgere al meglio e quanto più a lungo possibile il movimento che mi illustra. Sa essere ampiamente gratificante quando riesco a soddisfarlo e comunque non mi fa mai pesare nulla se non dovesse succedere. Insomma, la sua tecnica è quella di andare adagio, seguendo un razionale semplice ma efficiente, facendomi sentire ad agio.
Non è un caso, secondo me, che questo istruttore insegni ai bambini ...
E così, alla fine delle mie vasche, mi sento di aver fatto tanto, mi sento soddisfatto nel provare un piccolissimo miglioramento rispetto alla volta precedente e torno a casa contento e desideroso di ritrovare nuovamente lui la volta successiva.
Il suo comportamento mi è in un certo senso "familiare".
Mi sforzo di fare altrettanto quando ho la possibilità di insegnare con le ripetizioni private. I ragazzi sono li da me perchè hanno delle difficoltà e fargliele notare certamente non li aiuta a "sbloccarsi" e a capire quelle poche e ricorrenti regole di base che si devono applicare dopo un breve ragionamento.
Scienza e nuoto hanno uno stesso denominatore comune.
Non solo.
Mi piace immaginare che tutta la vita ed ogni sua espressione si rapportino allo stesso denominatore comune.
Frequentemente, mi sento a disagio e fatico a godere della vita.
E' una responsabilità tanto mia, quanto di chi mi circonda.

"Indivia"

Personalmente, ritengo importanti quattro aspetti della vita: il lavoro, il giusto guadagno, l'ambiente (sociale e territoriale) e la famiglia.
Non saprei dare l'esatto ordine di priorità a questi bisogni ... almeno non a tutti.
Di certo, sento che il bisogno primario è la famiglia.
Dovrei esprimermi meglio, in verità: non esclusivamente la famiglia intesa come madre, padre e fratelli; principalmente, l'altra metà.
Sarà che ho un grande desiderio di avere vicino a me una compagna, che finora non sono riuscito a trovare (quanto meno, avevo creduto di averla trovata).

Questi aspetti li ho scoperti alcuni mesi fa quando mi sono trovato di fronte ad un importantissimo bivio:

- scegliere un lavoro che mi avrebbe dato una retribuzione maggiore, la possibilità di costruirmi un futuro e stabilità, al prezzo di rimetterci nella qualità, imprevedibilità e professionalità; un lavoro, però, che mi avrebbe riportato nella mia terra adottiva, nuovamente in mezzo ai miei pochi ma preziosi amici e "familiari" acquisiti, alle mie abitudini e passatempi conquistati con notevoli difficoltà; senza purtuttavia avere una persona che mi desiderasse ... o con l'illusione e la paura di riallacciare una relazione inesistente con una persona che io amavo.

- oppure, restare dove sono: con un lavoro soddisfacente, seppur con una retribuzione contenuta rispetto all'alto tenore di vita in cui vive la città; città dove ancora non ho un vero amico ne vita sociale (avevo tentato di trapiantare le mie vecchie abitudini ma non sono riuscito a farle funzionare); città che non sento come "mia", come non sento accoglienti le persone che la abitano; e dove continuo a non trovare una ragazza.

Dopo molta sofferenza, ho scelto di restare dove sono.
Di certo, so che sono andato contro ogni mio desiderio, ogni mio suggerimento del cuore e della mente, contro persino la monetina!
Ho scommesso sulla novità, sulla "verginità" del luogo e dei suoi abitanti, sul lavoro.
Forse è un modo del tutto irrazionale per definirlo come tentativo di "ristrutturazione interiore" o di "messa in discussione".

Sono passati otto mesi ed il lavoro comincio a percepirlo soddisfacente, seppur con una retribuzione contenuta; vivo in una città dove ancora non ho un vero amico ne vita sociale (a mala pena, riesco ad andare due volte a settimana in piscina); città che non sento come "mia", capace di darmi un futuro e non sento accoglienti le persone che la abitano.
E dove continuo a non trovare una ragazza.

Difficile realizzare contemporaneamente tutti questi bisogni...
Sarebbe corretto pensare che ragioni idealisticamente...

Eppure, oggi è successo. Ad un mio collega di lavoro. Si è dimesso dall'azienda e così: svolgerà un lavoro appagante (e forse maggiormente) e molto meglio retribuito; ritornerà nella sua terra d'origine, dove l'aspetteranno la famiglia, la sua donna, realizzando con lei un futuro in comune, i suoi amici. Avrà la possibilità di prendersi nuove responsabilità e fare qualcosa di eccezionalmente importante: crescere.
In un colpo solo, lui è riuscito a soddisfare contemporaneamente i miei quattro bisogni! Sono tanto contento per lui! Davvero felice perchè potrà realizzare tutti i suoi più intimi e reconditi desideri e perchè è stato davvero bravo e fortunato!

Ha dimostrato che l'idealità può trasformarsi in realtà.

La mia sensazione non posso chiamarla "invidia".

Soltanto, "indivia".

Un frullato di eventi ... un patè di pensieri

Alcuni giorni di assenza, giustificati dagli impegni "collaterali" al lavoro, come la cena a base di specialità tedesche a casa di una coppia di colleghi e quella organizzata annualmente dalla mia azienda.
Due sere lontano dallo schermo, dallo scrivere i miei pensieri, dal descrivere cosa ho provato.
Investigare ancora una volta le mie emozioni.
La "familiarità"; un contatto per posta elettronica da parte di una donna in cerca di sesso; la soddisfazione sessuale; il rapporto di coppia; la capacità di ristrutturazione e di vigilare sui mutamenti; "l'universalità" delle azioni umane; l'orchestra; trovare e provare totale appagamento nel realizzare i propri bisogni; la buona "invidia".
Un concentrato di emozioni. Molto variegato.

martedì 9 dicembre 2008

Questa strana parola ...

Avevo sempre pensato che comunicazione fosse sinonimo di parlare:
Quella persona sa comunicare = sa attirare a sè altre persone con la forza delle parole.
Nulla di più inesatto!
Ho incontrato persone che parlavano a "mitraglia", ma non c'era affatto comunicazione.
Probabilmente, prevaricazione verbale.
Ho così compreso che è estremamente riduttivo limitarmi ad identificare comunicazione con parole.
Un giorno, sono rimasto ipnotizzato da una definizione di comunicazione che ho scovato, così per caso, girovagando nella intranet della mia azienda:

La COMUNICAZIONE è
la CAPACITA'
di svolgere "azioni in comune"
quindi, di entrare in contatto con l'altro e di stabilire
una RELAZIONE
al fine di CONDIVIDERE
PENSIERI
SENSAZIONI
EMOZIONI
attraverso la comunicazione orale, scritta, di immagini, NON VERBALE e metaverbale.
Provo una sorta di ascesa perfezionista che parte dalla emozione e sale su, fino ad esprimersi tramite una parola, un gesto, uno sguardo, una posizione, un modo di vestirsi, un tono di voce: una qualunque manifestazione esteriore.
Mi ha toccato molto questa definizione perchè, secondo me, usa parole importanti che sono alla base di ogni amicizia e relazione sentimentale.
Probabilmente è il mio modo di agire quando ho la capacità di conoscere nuove persone: tutto nasce da una emozione provocato da qualcosa di caratteristico; comincio a "sondarne" il pensiero, il suo punto di vista, lo confronto con il mio; valuto se è cosa buona condividere con essa vecchie e nuove esperienze e allacciare così una relazione perchè sento di avere qualcosa in comune con quella persona.
Svolgere azioni in comune.
Comunicare.
Alla fine, senza rendermene conto, comunico.
Detto così sembra che sia un modo talmente pianificato che uso nel conoscere nuove persone.
No.
Ma è consapevolezza, cioè mi rendo conto che il mio meccanismo relazionale funziona così.
Con la speranza che ci sia condivisione. Compartecipazione. Comunicazione.
Chissà con quale intensità ed efficacia; è davvero sentita dal mio relatore? Cosa suscito in lui? Riesco ad accorgemene adeguatamente?
Posso dire che, attualmente, posso contare su 5 persone con cui comunicare.
Pochi ma buoni, probabilmente.
L'insoddisfazione è che sono tutti così lontani da me!
Ora sono solo, circondato da persone con le quali non riesco a trovare e provare emozioni in comune.
Non sento.
E' una predisposizione "negativa".
Sarà una predisposizione "naturale" o, chissà, "indotta".
So di certo che mi piace stare con la gente, sebbene mi accorgo di agire il più delle volte in "solitaria" quando ci sono molte persone attorno. Percepisco l'ambiente come poco familiare con la conseguenza che mi intimorisce, mi blocca.
Quando, poi, si torna ad essere un gruppo di pochi, con persone che percepisco "di fiducia", tutto cambia.
Mi sento in uno stato confortevole.
E riprendo a comunicare.

lunedì 8 dicembre 2008

Incipit ... vita nova?

Questa sera ho voluto sperimentare qualcosa di nuovo con l'apertura di un blog, andando contro il principio primario di ogni essere umano: la difesa di sè.
Riverserò tanti di quei sentimenti e pensieri da far venire la carie perfino ad una dentiera.
Ma ho la necessità di COMUNICARE, verbo che percepisco difficile, arduo. Non compreso da chi mi circonda. Forse, e di più, non compreso da me stesso.
Sento il desiderio di confrontarmi e di mettermi in discussione, sebbene abbia molta paura di ricevere giudizi e di non essere accettato per ciò che dirò.
Paura che probabilmente è il filo conduttore della mia vita, una "cattiva abitudine" che mi porto dietro da sempre e che sono riuscito a fare mia: autogiudicandomi.
Non cerco compassione ma comprensione, che non vuol dire essere necessariamente daccordo con l'idea di un altro. Non cerco affatto persone che mi diano ragione, ma che sappiano confrontarsi con il rispetto reciproco delle proprie idee. E magari, se si riesce, giungere a dei punti in comune.
Penso di aver fatto alcune esperienze in vita mia. Ho incrociato persone che mi hanno mosso "critica" , destabilizzando ciò che fino a quel momento credevo fossero dei punti fermi nella mia vita. Ho considerato l'idea di fermarmi a riflettere, valutare la bontà di queste "critiche" e trovare motivo di rinnovamento se necessario.
Questo modo di agire è segno di RIGIDITA' ?